Partecipa all’Iniziativa letteraria “Natale insieme nella Blogosfera, poesie e racconti per la vita”, organizzata in collaborazione con il Portale Manuale di Mari – Poesia e letteratura nei mari del web e Nicla Morletti in occasione della
Giornata mondiale contro l’AIDS promossa dall’Unicef
Come la marea
Il male manifesta continuamente la sua esistenza e non ha bisogno di prove. Eppure ci sorprende infinitamente. Si cela anche nella bellezza, nell’innocenza e persino nella verità. Non sempre la verità fa bene. Fu così che lei, quando gli disse di non amarlo più, avvertì un dolore acuto come se fosse stato lui ad abbandonarla e se ne andò in silenzio, colma di questa punizione. Non riuscì più a dimenticarlo e persino nel suo nuovo amore scoprì una crepa così profonda che decise, in poco tempo, di tornare da lui. Era la notte di Natale. Lui l’aspettava sulla soglia di casa, come la riva la marea. Stringendola in un abbraccio, provato in sogno tante volte, le mostrò sul tavolo della cucina i fiori rossi che lei aveva sempre amato e disse: “scendo a prendere la legna anche se stasera… Non sarà così freddo”. Mancava poco alla mezzanotte. Lei infilò la spina nella presa di corrente e inondò di luci colorate l’albero di Natale. Fuori il mare s’increspò sotto la carezza di una tenera brezza.
Robert
***
Natale insieme nella Blogosfera raccogliendo ancora una volta, in questo Blog, racconti e poesie per la vita. Il tema è libero e la partecipazione è aperta a tutti. Puoi postare una o più opere direttamente nei commenti a questo post, da oggi fino al 31 dicembre.
Lanciamo questa Iniziativa in occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS promossa dall’Unicef. Puoi fare la tua donazione cliccando qui.
Questa è l’ultima Iniziativa letteraria dell’anno valida per il Premio Manuale di Mari. Le opere più belle saranno pubblicate nel Blog degli Autori e presentate nel Portale Manuale di Mari e nel corso del Programma “Poesia e parole della sera” condotto da Nicla Morletti e Robert su Manuale di Mari Web TV. La prima puntata del Programma sarà diffusa alle ore 18,00 di venerdì 5 dicembre 2008.
Alcune opere potranno essere pubblicate anche nel libro “La pratica del bello scrivere” curato da Nicla Morletti per Laterza Giuseppe Edizioni.
*Alcune raccomandazioni.*
1 – Questa volta, in deroga al Bando del Premio Manuale di Mari, è possibile pubblicare racconti più lunghi anche se, ovviamente, saranno molto graditi racconti brevi che si adattano meglio alla lettura nel web e rendono più agevole la navigazione del blog. In ogni caso ti preghiamo di non superare le 10000 battute spazi inclusi (evita le spaziature non strettamente necessarie).
2 – I testi saranno pubblicati così come li inserisci. Prima di postare un testo, rileggilo attentamente e apporta tutte le eventuali correzioni.
3 – Non postare più di due opere per volta.
ATTENZIONE: i commenti sono chiusi. L’Iniziativa si è conclusa il 10 gennaio 2009.
Il primo libro
Che cosa meravigliosa un libro!
E quanti… da quel primo, vero libro, che lessi nel Natale del ’56 a Bologna.
Ricordo… ero nella cucina della nonna Pasquina.
Ero lì per qualche giorno, anche a dormire mi pare, perché l’altra nonna, la mamma di mio padre, era in ospedale… sarebbe poi tornata a casa, ma per morire dopo poco… in maggio, il mese delle rose, che le piacevano tanto.
C’era già stato qualche regalino, che aveva portato Gesù Bambino, un anticipo perché i giocattoli li avrebbe poi portati la Befana… purtroppo… perché il giorno dopo si tornava a scuola e così, c’era ben poco tempo per giocare.
Ma Gesù Bambino quell’anno mi aveva portato un regalo meraviglioso… un vero libro, bello grosso, con una copertina rigida telata di un verde pisello, e all’interno, qua e là, disegni a colori che avrebbero dovuto arricchire le descrizioni dei personaggi e della vicenda ma che, a volte, disturbavano l’immagine che mi ero fatta di loro e che faticavo ad abbandonare per quelle ‘figure’.
Il libro era ‘Senza famiglia’ e mi piacque moltissimo: mi avvinse e mi portò a commuovermi così come era nei suoi intenti.
Io avevo sette anni, appena compiuti in ottobre, facevo la seconda elementare, destreggiandomi tra pennini, calamai e carta assorbente, e imparando a memoria tabelline e Rio Bo.
Già l’anno prima, con grande desiderio oramai, d’imparare a leggere e scrivere, diligente avevo obbedito ai dettami della maestra che ci guidava nel labirinto delle righe ‘di prima’ a tracciare curve e angoli arrotondati, linee e riccioli che formavano belle lettere, che a loro volta divenivano intere parole, e finalmente frasi di senso compiuto.
Ma adagio… con calma… ogni cosa a suo tempo… ci ammoniva la maestra.
Ricordo ancora la ‘d’ maiuscola!
La maestra Corsino, con il suo bel grembiule bianco e la crocchia di capelli altrettanto bianchi in cima alla nuca, aveva indicato ad ognuna di noi di tracciare una lettera maiuscola, una sola, e per cominciare…l’iniziale del nome del proprio babbo.
E così, un po’ stupita ma piacevolmente da questa indicazione, mi trovai a tracciare la D perché mio padre si chiamava Dino.
Nella borsa di un poeta
Che cosa c’è
nella borsa di un poeta,
forse pensieri vagabondi,
impressioni,
gabbiani in volo
verso orizzonti sconosciuti,
o forse
un libro di poesie
da sfogliare in silenzio
lentamente,
a catturarne ogni parola
nella magia della sera,
o grani di pazzia
per afferrare questa vita,
che ci sfugge
e che possiamo riprenderci
soltanto
con l’astronave
della fantasia.
Lenio Vallati
@lenio vallati,
bello il tuo modo di far viaggiare la mente del poeta attraverso l’astronave della fantasia che ci trasporta nello spazio infinito di pensieri, parole e emozioni. La magia della sera rende il mondo di tutti i poeti ancora più speciale. Complimenti.
@Alba Venditti,
Questo, cara Alba, siamo noi poeti, uno stuolo di pazzi che crede ancora, nonostante tutto, al rispetto e all’amore tra gli uomini. Con il nostro pennello intinto di parole intendiamo colorare il mondo di speranza. Ce la faremo? A risentirci, Lenio.
@lenio vallati,
Caro Lenio,
più cerchi nella borsa di un poeta e più trovi pensieri, sentimenti e fantasie sorprendenti.
Complimenti per l’originalità della poesia che invita ad aprire la borsa e a rovistare per trovare ciò che è utile nel cammino della vita.
Ciao
Giuseppina Mira
@Giuseppina Mira,
Grazie Giuseppina, grazie per i tuoi complimenti e soprattutto per quello riguardante l’originalità della mia poesia, cosa alla quale tengo più che a tutto il resto. A risentirci, Lenio.
Capelvenere
Ti aggrappi
alle crepe del muro
con la sola forza
della tua disperazione,
piccola pianta
dal verde incerto,
timide foglioline
accarezzate
da un pallido sole.
Ma non c’è acqua,
o parvenza di terra
se non quella che tu
immagini e sogni
nel tuo calvario d’amore
e interstizi vuoti
in cui affondare
le tue magre radici.
Ma vivi!
Lenio Vallati
Il cortile e l’orto
Un ricordo sta in alto, aereo e dominante.
In alto, come la casetta sull’albero dove andavano mio fratello e i bambini più grandi, e su cui sarei potuta salire anch’io…se avessi poi trovato un quadrifoglio! Ed eccomi dunque, a testa china, cercare fra l’erba e i sassolini il mitico quadrifoglio, sognato e immaginato come l’unicorno o un vascello fantasma.
Veleggia in questo tempo dilatato il quadrifoglio, che naturalmente non trovai mai.
Ma il ricordo principe della mia infanzia è un altro.
Ecco…è un mattino di prima estate. La mamma mi ha lasciato scendere in cortile, o forse lei stessa mi ha accompagnato lungo le scale, aprendomi la porticina a riquadri di vetri colorati con lo stucco che si stacca un poco ai bordi; a lato, sulla sinistra, c’è quel ferretto che serve per pulire la suola delle scarpe.
Adesso sono sola nel cortile…e mi sembra così grande e vuoto, perché è mattina e tutti gli altri sono a scuola. Guardo in alto: il sole arriva a est dalla parte della via Emilia, sta salendo ma non fa ancora troppo caldo. L’aria è fresca e profumata: io ho una vestina di cotone, le scarpette blu di tela, i calzini corti e non sento né troppo caldo né troppo freddo. Mi avvicino alla rete che divide il cortile dall’orto. Sulle maglie della rete si avvolgono i teneri gambi verdi delle campanule e loro, tantissime, screziate di rosa, anche loro se ne stanno là tranquille, mentre i raggi del sole si avvicinano a scaldarle e le farfalle volteggiano attorno. Al di là della rete, l’orto riparato da alcuni alberi è in penombra.
Guardo verso le rose della nonna Elisa: raramente ci lasciano entrare, l’orto è ben chiuso da un cancellino. Una campanula, che ho staccato dal suo gambo, si è subito stropicciata e afflosciata, non voglio prenderne altre, sono più belle così avvoltolate sulla rete.
Il ricordo di quel mattino è quasi il simbolo di ogni inizio…della mia vita…di ogni vita…come fosse il primo mattino del mondo. Tutto era perfetto.
Forse era così il Paradiso terrestre: di là c’era l’orto in penombra, chiuso dal cancellino, e Adamo ed Eva non avrebbero dovuto andarvi senza permesso. Perché, anche nel nostro orto, chissà…forse non c’erano solo le rose della nonna che si potevano rovinare…forse c’era qualcos’altro…d’impalpabile e prezioso.
L’incanto dinanzi alla meraviglia della vita, in quel mattino, è il ricordo più bello della mia infanzia. Contemplavo per la prima volta il mondo nella sua essenza di meraviglia, e la cosa mi lasciava senza fiato.
Ma il mondo non sempre è meraviglioso: un’altra volta, mentre ero sola nel cortile, ricordo che ad un tratto mi accorsi con raccapriccio che sulle mie gambe salivano tante formichine, dal terreno alle scarpette e su su oltre l’orlo dei calzini.
Mi parevano tantissime, non ce l’avrei mai fatta da sola, la cosa mi pareva enorme…temevo che salissero sempre di più…mi misi a correre verso le scale e chiamai disperata mia madre, che naturalmente in un attimo mi salvò dall’esercito delle formiche.
E così miss bastapoco, alla quale di solito non basta mai niente, ha deciso di uscire dal suo splendido isolamento fatto di riflessioni fosche sul futuro, e di ricordi passati nel tritacarne della memoria.
E’ uscita come un automa, ha comprato mezzo chilo di torroncini che ha graziosamente disposto in una ciotolina di argento ed è rimasta a guardare a lungo le piccole carte colorate e luccicanti. Nottetempo si è alzata e li ha demoliti, i torroncini, uno dopo l’altro.
Ha voce terribilmente roca, tosse e naso tappato, ma pur di inglobare mezzo chilo circa di pura libidine ha respirato con le orecchie. Perchè i miracoli accadono, e miss bastapoco ha chiesto di poter fare la maiala senza ingrassare, ma ha ottenuto di riuscire a respirare con i buchi che ha ai lati della testa.
Mentre, probabilmente, in un altro cantuccio della terra ci sarà miss purchessia, ad ingozzarsi di cibi ipercalorici sperando di mettere addosso quanto basta per tenere attaccati gli abiti alle ossa. Senza riucire a mettere su nemmeno mezzo etto.
E’ che la vita va semplicemente come una barca sul mare, e se il mare è in tempesta sono cazzi.
Miss bastapoco ha realizzato, dopo lunghe e penose elucubrazioni, che alcuni uomini la considerano una femmina che trasuda sensualità. Gli altri una specie di extraterrestre che attraversa la vita come se avesse un sacchetto di carta sulla testa.
Stamattina il dentista le ha detto che è energica, vitale e molto estroversa. Lei si è girata per essere certa che alle spalle non ci fosse nessun’altra.
E’ che le relazioni umane sono fatte di percezioni a volte opposte, e se le une e le altre si oppongono troppo sono quelli di cui sopra.
Pian piano miss bastapoco ha fatto defluire la rabbia che aveva dentro autopraticandosi un foro all’altezza dello sterno. Si è guardata allo specchio del bagno e ha visto le piastrelle di fronte, congratulandosi con esse per la bella nuance di giallo. Poi è andata ad ubriacarsi di succo di frutti rossi, che aveva comprato per un amico al quale si era dimenticata di offrirlo.
L’estate scorsa molti bagnanti della costa jonica hanno visto un oggetto non meglio identificato spostarsi veloce nel cielo. Lei ha fatto marameo, è atterrata per scofanarsi una gigantesca granita di caffè con panna e poi ha ripreso quota.
Come new entry colgo l’opportunità di lasciare a tutti una mia poesia augurale. Buon anno.
Speranza
La vita è appesa come un dono
e il sole è altrove
mentre il vento si attorciglia
sulla ringhiera della limonaia
Il giorno ha scaglie fredde
e l’abete rifatto
quest’anno sembra invecchiato
Chi ci darà domani una luce
davanti al presepe dei vinti
se le parole appoggiate per terra
hanno il sapore acre della paura?
Eppure ti aspetto ancora
come piccolo uccello che danza
davanti al mattino
AMORE
Hai lasciato il nostro amore
per la tua illusione.
Sei volata a Miami senza il mio ricordo.
Violenza del sogno,
ogni incubo m’hai scoperto.
Coi tuoi occhi nocciola,
riflesso del mare e del tormento,
hai trafitto il mio cuore
desideroso di affabilita’,
struggendomi al tormento.
M’hai ucciso la speranza.
Marianne, ti amo.
Ti amero’.
Moriro’ desiderandoti.
Infinitamente.
Sei un’assassina.
Perche’ ?
Gaetano
@Gaetano,
il tuo è veramente un amore estremo verso quella donna che ti ha trafitto il cuore, ma tu malgrado tutto la vorresti ancora al tuo fianco. Ogni cosa che arriva all’estremo purtroppo corre il rischio di interrompersi bruscamente. Comunque, la vita è anche questo e perciò non perdere la speranza di trovare un’altra donna che ti riempirà la vita come quella che si è allontanata da te.
IL GIALLO DELLA VITA
Sto cercando lontano, attraverso la memoria, sto attraversando il percorso con l’ausilio del film: giallo della vita.
Per tutto questo mi sono messo a riflettere, la memoria mi ha aiutato. Forse perché si tratta di notizie di “ieri” in quanto sarebbe stato più difficile recuperare notizie di “oggi”.
Mi rivedo, nella mia aia. Aia che confina col bosco. Quel bosco che rimane ancora nei miei sogni, nei miei desideri di libertà e di amore. Ero solo quel giorno, forse l’aia era attraversata da una gallina o da un gatto. Tutto qui. Ma io mi vedevo attraverso la mente non solo “nel video” ma – strano – anche nell’audio. Questo è un giallo della vita. Come è possibile?
Nel video mi vedevo piccolo che correvo in quell’aia ma, strano, nell’audio mi sentivo accompagnato da una musica dolcissima e romantica. Forse Mozart. Strano, perché io Mozart non sapevo chi fosse e non lo conoscevo e non conoscevo quella musica anche se l’ho conosciuta ed apprezzata molto più tardi. Ma forse è stato un sogno? Sì, forse un sogno romantico perché pensato e virtualmente cercato. È il giallo della vita, ma questo è un giallo voluto. Forse la vita è bella per questo perché in un attimo la “vecchiaia” ti riporta lontano: fino alla “fanciullezza”.
Mi hanno fatto ascoltare “virtualmente” una favola, meravigliosa favola con il suo bel “c’era una volta” iniziale ed il suo “vissero tutti felici e contenti” in coda. Proprio una favola da bambini.
Ripensandoci dopo questa che, per Mozart, rappresenta una bella novità in quanto nelle sue opere precedenti il finale era improntato su spiacevoli se non tragici accadimenti come, ad esempio, la morte del protagonista nel Don Giovanni, le infedeltà che si scoprono di Fiordiligi e Dorabella nel Così fan tutte e, ancora, l’amaro concludersi delle altre diverse sue opere.
Il bosco era vicino, nel sogno, e come al solito ho accomunato quella musica romantica che virtualmente ascoltavo al bosco e vedevo, come mi è capitato altre volte, il vibrare delle foglie sollecitate dal vento gentile di quella musica romantica.
Forse hanno rappresentato questa “bella favola romantica” perchè Amedeus ha voluto regalare un “pezzo musicale” alla rubrica “Il giallo della vita” del Blog di Nicla Morletti? Forse sì perché ho continuato a sognare. Grazie Nicla.
È stato un sogno bellissimo, forse uno dei pochi esistenti nella “bacheca della memoria della mia vita”
sergio
Con questo ricordo la mia memoria ha volato
“ IL VOLO… DELLA MEMORIA “
Si può vedere il cielo riflesso nell’acqua di un lago, o la luna nel pozzo?
Ho provato a pescare nel lago le stelle del cielo , ho tentato di prendere la luna nel pozzo, ma è solo un sogno, non è realtà..
La natura che ci circonda, bellissima, e unica mi dà la capacità di sognare ad occhi aperti e di ricordare..
I ricordi affluiscono veloci, uno più intenso degli altri mi è rimasto attaccato al cuore, la storia che racconterò è un frammento della mia vita che è tornato vivo nella mia mente.
Ho ritrovato una foto, io piccola, in collo alla mamma, quanti anni sono già passati. Così è iniziato il mio ricordo: questa è una storia vera, vista con gli occhi di una bambina di 4 anni.
Ripensando a questo episodio so di aver vissuto queste sensazioni:
Gli Angeli mi hanno circondato –
La Madonna mi ha accarezzato –
Dio mi ha porto la sua mano –
Anni 1943/44 , erano gli anni che c’era la guerra, qualcuno penserà che non posso ricordare avvenimenti così lontani nel tempo, ma se il ricordo ti è rimasto dentro..è come riviverlo.
Alcune cose le ricordo sfuocate , ma alcune, se mi concentro e chiudo gli occhi, sono lì davanti a me, è come sfogliare un vecchio album di fotografie, o vedere le immagini su uno schermo:
rivedo gli sguardi increduli e terrorizzati degli uomini.
le lacrime negli occhi delle donne,
la rabbia e la rassegnazione nei volti dei vecchi,
sento i pianti dei bambini per la fame,
rivedo gli sguardi fieri dei giovani combattenti,
vedo gli sguardi dolci delle donne che dicono ai loro uomini: -Ti aspetterò-
Io, con i miei genitori, e il mio fratellino piccolissimo (nato nel 1943,) eravamo in casa dei miei nonni in Casentino, sentivo tanti discorsi e vedevo tante cose, ma non ne capivo completamente il significato, però quando nella piazza principale legarono a dei grandi alberi alcuni uomini del paese, ero seminascosta dietro i vetri di una finestra, perché mia madre non voleva che guardassi le brutture della guerra, ma ero curiosa, e con un occhio riuscii a vedere una scena raccapricciante, che non ho mai dimenticato.
Quel giorno, il sole splendeva alto e i suoi raggi filtravano fra i rami degli alberi formando dei disegni lucenti , c’era un silenzio irreale nell’aria, che venne squarciato dai colpi secchi di proiettili che uscivano dalle canne dei fucili, sembrava un film…invece era una scena reale.
Un plotone di soldati tedeschi sparava, si leggeva il terrore e la paura della morte, nei volti degli uomini legati agli alberi, ma nessuno fiatò, nessun lamento, era il coraggio degli eroi.
Questa era la punizione per chi uccideva un sodato tedesco..entravano nelle abitazioni e prendevano gli uomini che trovavano e li uccidevano nella pubblica piazza, così facevano valere la sua “ potenza”
1 tedesco morto, 15 italiani morti…la testa reclinata…ormai erano andati..
La guerra ci aveva mostrato il suo volto in tutta la sua atrocità.
Nel paese, silenzio, nemmeno le mosche facevano il solito ronzio, finestre e porte chiuse, nessuno per le strade, un paese di fantasmi, i soli rumori che si sentivano erano i miagolii dei gatti, un leggero abbaiare dei cani che impauriti andavano a nascondersi, il rumore dell’acqua della fonte, anche il sole sembrava che avesse tolto il calore dei suoi raggi.
Si percepiva anche un altro rumore silenzioso e astratto, ne era piena l’aria, era il rumore silenzioso del dolore, e quello della vendetta, poi i soldati tedeschi, orgogliosi del gesto compiuto, risalivano sulle camionette, e si spostavano altrove.
Solo allora, le porte e le finestre si riaprivano, le strade si riempivano di nuovo, i fantasmi erano spariti, risuonava nell’aria il pianto la disperazione delle mamme, delle mogli, delle figlie, nel vedere i loro cari inermi, dolcemente li accarezzavano come per rendergli la vita, ma nessuno poteva fare niente, solo il tempo avrebbe lenito il dolore, ma quella tragedia sarebbe stata una grande ferita nei loro cuori e nelle loro menti, e li avrebbe segnati per sempre.
Nella piazza del paese, c’è un monumento “Dedicato ai caduti” è circondato da tre scalini, 4 leoni in pietra, uno per ogni angolo, sembrano vivi e pronti a difendere con la sua fierezza quelle tavole di marmo dove sono incisi tanti nomi , perché nessuno, deve mai cancellare e dimenticare che quei nomi rappresentano delle persone che con il loro sacrificio hanno difeso la vita di tutti noi.
Quando torno in questo paese, a me caro, perché lì sono sepolti i miei genitori, guardo questo monumento, ma non lo vedo con occhi come le persone che passano indifferenti, vedo solo dei corpi umani legati agli alberi, con la testa reclinata , e sento ancora fischiare nelle orecchie i colpi di fucile che echeggiano nell’aria, e le urla di dolore dei familiari, mi vedo bambina, piccola e impaurita.
Dopo questo episodio per diversi giorni non riuscivo a mangiare, né a dormire, solo ora ne capisco il motivo: quei soldati avevano rubato un pezzetto della mia infanzia , mettendo nei miei occhi un’immagine che mi è rimasta incastrata come una piccola lama fra il cuore e l’anima.
Ricordo , i tedeschi che bruciavano tutto e mio nonno non voleva lasciare la sua casa, urlava disperato, sapeva che i sacrifici di tanti anni si sarebbero dissolti nel fumo e nelle fiamme.
“ Io resto qui, nessuno mi deve dire che devo andare via, è casa mia “
Tutti dovevamo lasciare la casa, e nascondersi nei boschi e nei campi…Ricordo, come fosse ora, la corsa fra i balzi di queste vigne, e noi in silenzio, camminavamo piano rasentando il muretto per non essere visti, eravamo una quindicina di persone fra adulti e bambini, mia madre teneva attaccato al seno il mio fratellino, perché non piangesse, noi potevamo capirlo di stare zitti, ma un neonato che cosa ne sa della guerra..ma non fece un lamento , forse, ci ha salvato anche il suo silenzio.
Dio da Lassù, vedeva la grande disperazione nei nostri volti, ci ha porto la Sua mano.. Sentivamo i colpi di fucile rimbombare da un monte ad un altro, forse gli angeli che ci circondavano hanno deviato qualche proiettile, è stato un vero miracolo che non ci abbiano trovato, ma quanta paura, quanti sospiri ho sentito nell’aria, eravamo lì, silenziosi come era l’erba, e i fiori che calpestavamo con passi felpati, l’erba e i fiori non capivano le atrocità della guerra, loro crescono lo stesso, incuranti di quello che può succedere, alcune lucertole, scivolavano fra i cespugli, qualcuna si fermava e ci guardava incuriosita, poi guizzavano veloci sparendo fra i sassi e l’erba dei balzi, loro potevano sparire, noi no…
I minuti erano interminabili, gli adulti si guardavano con aria angosciata, che cosa sarebbe successo il minuto dopo?
Poi, i passi, iniziarono ad allontanarsi, le voci dei soldati e i colpi di fucile erano sempre più lontani, forse eravamo salvi..piangendo, ci siamo abbracciati tutti, per lo scampato pericolo, io ero piccola, ma ricordo con grande amore e nostalgia, l’abbraccio dei miei genitori, mi sono sempre ricordata queste braccia che racchiudevano ed emanavano la dolcezza dei sentimenti veri e umani.
Solo allora mi sono accorta dei fiori di campo che ornavano i balzi e i campi di queste vigne, non erano stati calpestati, erano bellissimi erano rimasti così vivi….come noi.. Gli adulti si asciugavano le lacrime, non aveva importanza se i fazzoletti erano vecchi, sporchi e sgualciti, l’importante era essere salvi.
Con l’innocenza dei bambini, ho fatto un mazzolino di fiori e quando, camminando per risalire dalle vigne, siamo passati davanti ad una Cappellina , fortunatamente ancora intatta, nella parete centrale spiccava un quadro della Madonna, la mamma mi ha detto:
“ Offri i fiori alla Madonna e ringraziala “
Li ho appoggiati sul piccolo altare e piano, piano gli ho sussurrato:
“ Tieni, sono per Te….lo sai che siamo tutti vivi? “
Ecco, è stato in quel momento che ho avuto la sensazione che la Madonna mi avesse accarezzato l’anima. Questa carezza, non mi ha mai lasciato, ma se capitasse un momento…. che non la sentirò vicino a me, o non la vedrò negli occhi della gente, allora mi fermerò, dirò una preghiera e solo allora sentirò nuovamente la Sua mano che mi accarezza.
Ho parlato di fede, di speranza, di dolore, di bontà, di amicizia, di amore, sono cose che non si vedono eppure sono dovunque, sono nell’aria e dentro di noi, basta guardare nei cuori giusti….
La mia storia è finita, non ho mai dimenticato, ma ho sanato la mia ferita, ho trovato la pace e la serenità nello sguardo innocente dei bambini, nella speranza della pace nel mondo, nel trionfo della giustizia, nella saggezza dei popoli, e degli uomini che ci guidano, nella forza e la determinazione delle donne, perché riescono a fare nello stesso tempo le lavoratrici le mogli le mamme.
A tutte le donne del mondo…di qualsiasi età di qualsiasi razza, di qualsiasi ceto: “Lottiamo per la vita, per la famiglia, per i figli, per il lavoro, per la parità dei diritti, cerchiamo di farlo, con serenità e gioia, e la gioia è più grande se si trasmette questo messaggio alle generazioni future…..
Maria Luisa Seghi
@Maria Luisa Seghi, Maria Luisa, mentre lo leggevo, ho trovato il tuo racconto di guerra molto toccante, quasi troppo violento per l’atmosfera natalizia a cui si ispira l’Iniziativa. Poi, come per un incanto creato da te con maestria, tutta la mia tensione e tristezza si sono dileguate, al contatto con il messaggio-esortazione con cui lo concludi. Brava.
@Paola Pica,
Grazie Paola,
per il tuo commento che ho gradito moltissimo.
Non è forse l’atmosfera del Natale, che tutti ci sentiamo più buoni, che fa vedere la differenza fra il bene e il male?
Il mio racconto di guerra è crudo, solo come lo può essere la guerra, io l’ho vissuto con questa intensità, e solo con questa intensità potevo scriverlo.
Mi dispiace molto aver creato tristezza, penso… se tutti , cerchiamo con un pò di buona volontà di creare la PACE, invece che la GUERRA ” forse” qualcosa cambia nei pensieri e nelle menti del genere umano.
Spero con tutto il cuore, che, per le altre persone che hanno letto questo racconto in loro si sia dileguata la tensione e la tristezza come è successo a te.
Ora vado a leggere il tuo racconto ” Scintille ”
Cari saluti
Maria Luisa
@Maria Luisa Seghi,
Avevo già letto, Maria Luisa, questo tuo bellissimo racconto, ma il rileggerlo mi ha portato a scoprire elementi che avevo sottovalutato. Noi siamo non solo presente, ma anche passato, quello che abbiamo vissuto, sofferto e amato, quello che noi siamo oggi é il frutto di un lungo cammino di sofferenze e gioie. Tu ricordi anni di intenso dolore, ma anche di speranza, di rimascita, perché spesso l’anima risale solo dopo aver toccato il fondo. Peccato che solo pochi uomini posseggano il dono del ricordo, perché oggi, sotto altri cieli e altre latutudini, si sta perpetrando quello che i tedeschi facevano allora. Io ammiro, Maria Luisa, oltre alla profonda dolcezza del tuo scrivere, anche quella fede che ti anima e che ti fa volare e che io non possiedo. Se é bastata una preghiera alla Madonna a salvarti, mi chiedo, perché, perché milioni di esseri indifesi sono stati uccisi da quella orrenda guerra? Dio, dov’eri, questo era il grido di un grande uomo dal campo di concentramento di Auschwitz, Giovanni Paolo II. Ma, rubando un pensiero ad Anna Frank, posso dirti che a mio modo credo anch’io, e anch’io riesco a volare:
“è un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà nell’uomo”. Grande Maria Luisa, meravigliosa é questa tua testimonianza di vita e di amore per la tua famiglia oltre che per tutti coloro che sono stati travolti dalla guerra. Questo tuo racconto é il dono meraviglioso di un angelo che riesce comunque a volare, nonostante la sua ala rimanga troppo spesso incastrata nella porta dell’odio e dell’incomprensione degli uomini. Donaci spesso racconti come questo, Lenio.
@lenio vallati,
Ciao Lenio,
Io, non so darti una risposta a quela domanda con il punto interrogativo.
Ci sono tante situazioni della vita, in cui ci chiediamo :” Dov’era Dio in quel momento? ”
Dio è sempre lì, c’è chi lo vede con il cuore, e crede…
C’è chi lo vede con la mente, e non ha certezze…
C’è chi lo vede con il cuore e l’anima, questa è una sensazione meravigliosa…
Maria Luisa
@Maria Luisa Seghi,
Cara Maria Luisa,
con questo racconto hai fatto volare anche me. Grazie per il bellissimo messaggio che doni.
Con affetto
Daniela Quieti
@Daniela Quieti,
Grazie Daniela,
per questo volo che abbiamo fatto insieme.
Ti ho portato con me, di fronte a quel monumento, vicino ai leoni di pietra, in silenzio abbiamo letto i nomi di questi eroi…oggi non avevano la testa reclinata, sorridevano… perchè ” avevano perdonato “.
Con sincero affetto
Maria Luisa Seghi
Barbone
Un uomo su una panchina di legno scuro. Una sigaretta in bocca. Un uomo scalzo, sguardo verso il niente.
Mi sono fermata a guardarlo, avrei dato quello che avevo per barattare per un momento il suo tutto per il mio vuoto.
L’uomo mi ha guardato, nella sua sporcizia attenta a non rovinarsi, ha sorriso. Mi ha imbarazzato quell’angolo della bocca che disegnava qualcosa. Non so se era un sorriso, un ghigno, una smorfia. Non ho chiesto, non amo fare domande. Mi si attaccano solo risposte stracciate addosso.
Ho tolto lo sguardo.
Attimi di fumo volante nell’aria.
“Sai perché voi comuni mortali siete infelici?”
Ho risposto di no con la testa.
L’ho visto perso nel suo tutto, ho provato a guardare nella sua direzione ma c’era solo il traffico di una caotica città che rincorre il tempo.
“Voi mortali ve la costruite l’infelicità. Io non ci penso. Felice o infelice sono sempre un re scalzo con la mia sigaretta”
Non ho capito il senso di questo incontro mentre il viale si affollava. Eppure parlava proprio a me.
“Io non so cosa significa essere felici, lo pensavo ma l’ho visto andare via come il mio anello al dito” non sono sicura di averlo detto proprio a lui o a me stessa.
Ha continuato a fumare, si è tirato su la coperta di cartone.
“Voi mortali siete troppo infelici”
Forse il suo segreto era nella sigaretta scalza di pensieri.
Voglio non si dice
Vorrei che scrivessi solo a me, che il tuo pensiero per me fosse una scia di colori che seguono il movimento delle mani. Vorrei che ogni volta che guardassi li davanti a te, cercassi il mio sguardo perché sono proprio il tuo sguardo si posa. Dietro quell’albero, sotto quel sasso, dentro questo vento che oggi dalla finestra sul mare ti bacia.
Vai lontano, non ti fermare solo a me.
Segui i mille sentieri che ti porteranno ovunque. Cerca quello che non hai che non hai.
Un’ombra ti segue, è il tuo rifugio. Lei non ti abbandona ti aspetta pazientemente nelle crepe dei muri non sgretolandosi. Ma non ha corpo se non il tuo e tu non sai di averne uno.
Ne cerchi uno dove affondare e non riemergere ma non basterà.
Cerchi di nuovo quel profumo che ti è rimasto attaccato per giorni guardando il cielo azzurro.
Cerchi una mano da afferrare quando la tua non si trova.
Cerchi una schiena dove appoggiare la fronte quando ti senti stanco.
Andando avanti troverai tanti oggetti, tanti corpi dove rimanere per poco e ti riempirai di quello che ti manca intorno.
Ma vuoi altro e l’ombra ti segue anche su sentieri assolati. E’ dietro. A volte accanto.
Ti segue.
A mia figlia Valentina:
Dormi bambina mia
Ti cullerò su un fiore
Il vento,
la mia voce ti porterà
Vorrei per te rubare favole
… e costruirci il mondo
Vorrei per te annullare il tempo
… e immortalar la pace
Cristallizzare il sogno
… e disegnarci la tua Vita
Sogna bambina mia
che il sole ancora dorme
Tra poco sarà mattino
il mio bacio ti sveglierà.
Un Natale per tutti.
Ha smesso di piovere e il giorno ormai si arrende alla notte.
Fuori fa freddo e mi stringo addosso al mio cappotto e al tepore disarmante
di un piacevole incontro.
Un regalo. L’ennesimo, che la vita ancora una volta ha voluto farmi, fatto
di sensazioni e battiti che credevo perduti nel tempo e nella memoria.
Mentre con meraviglia sulle note dei diamanti di Venditti, ascolto i moti
del cuore.
Poi alzo gli occhi pensando di scrutare il cielo ma in fondo scruto la mia vita e le mie passate stagioni, da
troppo tempo dietro le sbarre, prigioniere di ricordi,
che abbraccio e nell’istante stesso abbandono, trovando la chiave giusta
per liberare volti e nomi.
Respiro a fondo, e stranamente percepisco l’odore del Natale, che
nel teatro della vita puntualmente si prepara ad entrare in scena..
Ne colgo la poesia in una foglia che volteggia e cade fermando la sua
danza sull’asfalto, ne sento il respiro attraverso i passi frettolosi di chi
si avvia verso casa carico di regali, lo vedo nelle mille luci colorate che
feriscono il buio, e mi ritrovo a pensare ai regali che vorrei fare.
Inscatolare sorrisi e regalare albe a quei cuori che non conoscono giorno.
Donare una poesia a chi la uccide con la menzogna. Dipingere primavere dentro
di chi è inaridito dai troppi inverni.
Donare ali senza intimorirne il volo, accendendo sogni al lume di candela.
Poi porgerei gli auguri al mondo con un solo linguaggio comprensibile a tutti.
Da cuore a cuore e che sia un Buon Natale per tutti.
P.S: Anche se in ritardo porgo i miei auguri a voi tutti, a te Nicla, a Robert e a tutti gli autori di questa splendida piattaforma ricca di poesia e letteratura.
E che sia Natale nel cuore tutti i giorni.
Un caloroso abbraccio
Annaluna.
Bacio di sangue bacio d’amore
Come scalpore fa rumore e colpisce,
come il vento che il volto ti ferisce,
come di notte la paura cresce,
come nel ventre ruggisce la tormenta
e ti spaventa,
come il primo ardore,
questo bacio,
che non fa rumore …
bacio di sangue,
pesato dal mio amore.
LA LUCE DELL’AMORE.
la luce si sta spegnendo
per l’odio galoppante
dalle ostilità incontenute
che lasciano
nei nostri cuori,
nei nostri sentimenti,
disastri spaventosi
Recuperiam la luce,
recuperiam la pace
accendiamo una candela,
accendiamone cento,
facciamo che l’amore
di queste umili fiammella,
ritorni ad illuminare,
la pace, e la speranza
e sia sempre viva,
come il nostro amore,
e la nostra umile,
solidarietà..
.
sergio
,
@sergio doretti,
Ciao Sergio,
E’ triste pensare che l’amore si sta spegnendo per ostilità e odi, che giustamente crea dei solchi profondi nella sfera dei sentimenti.
Noi, una cosa la possiamo fare, per tenere accese le fiammelle dell’amore, le accenderemo con i fiammiferi della speranza, con quelli della pace e della solidarietà..infine aggiungeremo una goccia di umiltà, sarà quella che le darà la forza di non spengersi mai..
Grazie Sergio di queste belle poesie
Maria Luisa Seghi
@sergio doretti,
Caro Sergio,
aggiungo la mia fiammella alla luce del tuo amore.
Affettuosamente
Daniela Quieti
@Daniela Quieti,
Grazie molte carissime Maria Luisa e Daniela per le Vostre fiammelle di amore e di pace con la speranza che ne vengano accese migliaia di queste preziose fiammelle, affinchè la luce di questi meravigliosi sentimenti rimanga sempre accesa..
con affetto
sergio
@sergio doretti,
caro Sergio, alimentiamo con l’alito delle nostre poesie quella fiammella che tu dici, anzi accendiamo cento, mille candele per illuminare il nostro mondo di pace e di speranza, ed evitiamo che si spengano per l’odio galoppante degli uomini.
Un abbraccio, Lenio.
In questo momento così difficile per la pace nel mondo, mi sento in dovere di inviare questo mio racconto. Coa possiamo fare perché nella terra di Gesù trionfi finalmente la pace? Non lo so, non lo sappiamo, come sempre il destino di molte persone indifese é in mano ai potenti della terra. Io, noi possiamo solo inviare messaggi di pace e di amore nella speranza che qualcuno li raccolga.
Kamikaze
Ti ho visto spesso, sai, camminare con lo zaino in spalla a poche centinaia di metri da me. Non conoscendo il tuo nome, avrei voluto chiedertelo, ma poi mi sono ricordata che apparteniamo a due popoli diversi che solo la morte può unire. Così mi sono immaginata tutta una serie di nomi, e con essi ho provato a chiamarti durante i miei sogni. Solo una volta ti sei voltato verso di me, ma era già l’alba e mia madre mi stava svegliando. Così tu resterai per me il ragazzo che abita dall’altra parte della striscia di Gaza, e nient’altro. Forse ti rivedrò ogni giorno, fino a che non costruiranno quel muro che dividerà ancora di più i nostri popoli. Quel muro che impedirà al sole di illuminare le nostre residue speranze. Mio padre dice che non ci vuole nessuna pietà per i terroristi, che solo distruggendo i loro possibili nascondigli potremo stare in pace. Ho visto troppe case distrutte, troppi bimbi uccisi per essere d’accordo con lui. E così ho immaginato una notte che anche tu la pensavi come me. Forse non saremo mai un unico stato, mi dicevi, ma potremo finalmente vivere in pace un giorno ed io potrò finalmente chiederti come ti chiami, ragazzo che abiti dall’altra parte della striscia di Gaza. Io mi chiamo Sara. Sara è un bel nome, un nome biblico. Forse potremo fare anche i compiti insieme, e giocare insieme se ci rimarrà un po’ di tempo. Da sei mesi sembra che molte cose siano cambiate. Non ci sono più stati attentati terroristici come quelli che più volte hanno insanguinato i mercati o hanno fatto saltare in aria pullman di bambini, una speranza nuova sembra aleggiare nell’aria. Forse la gente ha bisogno di pace, dopo tanto odio. Perché io credo, amico mio, che la violenza generi altra violenza, in una continua spirale che non possiamo più fermare: solo dall’amore può nascere la pace. Adesso sono le tre del pomeriggio, un sole afoso mi sta accompagnando lungo questa striscia polverosa che conduce alla fermata dell’autobus che mi porterà a casa. Ti scorgo. Non porti lo zaino in spalla come al tuo solito. Il mio invece, come vedi, è pieno zeppo di libri. Intorno a noi troppa gente affolla questa piccola cittadina, Beersheva, nell’ora di punta. Come sempre i tuoi capelli neri sono mossi dal vento, come sempre i tuoi occhi sono azzurri come questo cielo a metà tra Israele e Palestina. Rallento il passo. Immagino che tu mi raggiunga, e mi chieda qualcosa, qualsiasi cosa. Ma già l’autobus numero sei sta arrivando, portando con sé nugoli di polvere e di gente. Io salirò e tu scomparirai alla mia vista. Ciao, ragazzo che abiti dall’altra parte della striscia di Gaza, a domani. Mi faccio largo per trovare un posto a sedere, ma è impossibile. C’è troppa gente. Allora cerco appiglio dove capita, dopo qualche minuto l’autobus riparte bruscamente, facendomi quasi cadere. Mi guardo intorno. Ci sono alcune donne, molti uomini, qualche bambino piccolo, improvvisamente ti vedo, sei in piedi, stagliato di fronte alla porta d’uscita. Sembri più grande. Ma non mi stai guardando, forse stai pensando a qualcosa, sei come paralizzato dai tuoi pensieri. Poi i nostri sguardi si incrociano. Vorrei chiederti perché sei su un autobus degli israeliani, e per un attimo mi illudo che mi stai seguendo, forse vuoi conoscermi, vuoi fare amicizia con me. No. Guardo i tuoi occhi e vi scorgo un grido disperato. Una richiesta d’aiuto? Neanche. La tua è una preghiera, mi stai dicendo di scappare, scendi, vattene. Io ho terrore di quegli occhi che non ti avevo mai visto prima. Che cosa vuoi? Cerco di chiederti con lo sguardo. Cosa vuoi dirmi? Scappa, và via, presto! Mi stai dicendo ancora. L’autobus si ferma, alcune persone scendono, e con loro anch’io. D’accordo, farò come dici, anche se non ti capisco. Pochi metri. Poi un boato tremendo. Degli oggetti appuntiti mi percuotono il corpo. Vengo scaraventata a terra. I miei libri sparpagliati intorno. Dopo poco un altro tremendo boato. Mi alzo in piedi. Vedo l’autobus sul quale viaggiavamo che sta prendendo fuoco e un altro, che proveniva dalla direzione opposta, a poca distanza, cento metri circa, che è solo un groviglio informe di lamiere. Sento grida disperate di aiuto, intravedo corpi carbonizzati tra le carcasse dei due mezzi pubblici. Solo adesso capisco: hai voluto salvarmi. Non mi hai voluto portare con te nella tua spirale di odio, di guerra, di distruzione. Perché? Forse io rappresento per te la speranza che non deve mai morire? Forse sei stato costretto al tuo folle gesto? Chissà. Molte persone oggi sono morte e tante altre ne moriranno. Tu rimarrai comunque nei miei sogni, parleremo tante e tante volte di nuovo insieme. Ho cento cose da chiederti. Ma non sarai più il ragazzo che abita dall’altra parte della striscia di Gaza. No. Da stanotte ti chiamerò Kamikaze.
Lenio Vallati
QUARTO STORMO (Da Alba e tramonto)
Uccelli metallici
solcano il cielo
hanno nel ventre
uomini bellissimi,
coraggiosi,
la loro
è una missione di pace.
Quaggiù sulla terra
c’è chi li aspetta,
fra poco torneranno
alle loro case
alle loro famiglie,
ma a volte
qualcuno non torna.
Si parlerà allora
di tempeste di sabbia
di guasti tecnici
di vili attentati,
ma io so il perché
il cielo
si è innamorato di loro.
Lenio Vallati
@lenio vallati,
Si..Lenio, è vero, il cielo si è innamorato di loro, e non li lascia più tornare. Ma quale tragedia per chi aspetta il suo ritorno?
Con la forza della mente li vedo pieni di coraggio e bellissimi dentro gli aerei che solcano il cielo, Quanti sogni di questi giovani si spargeranno fra le nuvole..qualcuno si avvererà, qualcuno rimarrà incastrato fra una stella e l’altra, e sarà da questa stella, che volerà alto nell’immensità del cielo.
Maria Luisa Seghi
@Maria Luisa Seghi,
Ciao, Maria Luisa, anche questi, sai, sono angeli, certo i familiari che non li vedono tornare si dorranno, ma gli angeli non appartengono al nostro mondo e debbono tornare lassù da dove l’amore li ha chiamati a noi. Grazie per il tuo bellissimo commento, Lenio.
IL DIARIO (Da Alba e tramonto)
Tra le pagine scarne
del mio diario
vorrei incontrarti,
amica mia
e porti
quelle domande
che tu da sola
allora ti ponevi
e ripassare insieme
le tue paure
al tonfo secco
delle bombe
e ricercare nel tuo
nascondiglio segreto
barlumi di speranze.
Così debole dunque
è la nostra memoria
di uomini,
se ciò che allora ti assillava
ancor oggi m’assilla?
Se ancor oggi,
come allora
è così difficile trovare
nel nascondiglio del cuore
la parola ‘amore’?
Lenio Vallati
Attendo mano
Sento un passo a piedi nudi che si avvicina,
una mano che tocca il vetro
dove le punte non fanno così male.
Sento una piuma che si posa su un tavolo.
Fa rumore, muove il vento
e tiene ascolto di cuore.
Si piega sotto i pensieri,
passa di mano in mano.
Passa di emozione
che si mescola all’altra.
Filo di perle in una collana,
che unisce piccole parti
di essere scomposto
di aspettative derubate.
Sento qualcosa
che si aggira veloce
e si ferma quando i miei occhi sono chiusi.
Sospiri appoggiati a un cuscino,
parole in voce.
Sentieri ancora silenti ma presenti.
Ancora un momento….non sono attento.
Ancora un momento..non sono pronto.
Ancora un momento.
Attendo mano.
I tasti sono troppo veloci. Li devo fermare e comporre una frase.
Poi ci sono.
E’ qual’è ladomanda giusta per avere amore?
Le domande sono all’altezze delle risposte o ci sono punti interrogativi che si vestono di ma e si fanno i punti esclamativi???
Non si apre che un debole spiraglio nelle pozzanghere sporche di fango. Traghettatori di ore calpestano e finiscono un disegno celeste.
Cosa ci vedi dentro???
Il tuo riflesso
E tu cosa ci vedi???
Il tuo di riflesso…
E cosa riflettiamo???
L’amore che non siamo capaci di dirci guardandoci negli occhi
Perchè pensi questo???
Perchè lo provi, lo senti…ma non lo dici
Io sento quello che vedo e vedo te ma non sono capace ho il cuore muto
Dimmelo guardandomi negli occhi che non mi ami…
Non posso, non è la verità…
E’ qual’è la domanda giusta per avere amore??
Non c’è…devi aspettare che il cuore parli. Sveglialo ancora, ripetilo sempre.
La pozzanghera si è seccata. C’è rimasto il fango. Posso plasmarti me dentro???
Tu ci sei già….
Amami come sai fare tu….
Si….
Vecchio
Non ho ancora tolto il vestito
della scuola,
quello tutto nero
col colletto bianco e il fiocco blu,
e ancora
dietro al banco continuo
a trascorrere i miei giorni
e ad ascoltare i dolci versi
declamati
dalla mia maestra di allora.
No,
non ho ancora tolto il vestito
della scuola,
e ancora attingo
al vecchio calamaio
la mia innocenza antica di bambino.
Sul foglio bianco,
traccio parole
col pennino di allora,
a ricercare emozioni fanciulle
che ancora adesso
mi scaldano il cuore.
E scorgo ancora,
nei miei occhi stanchi
di vecchio,
il desiderio di scoprire cose nuove
e la voglia sconfinata
di una carezza.
Lenio Vallati
@lenio vallati,
“…E scorgo ancora,
nei miei occhi stanchi
di vecchio,
il desiderio di scoprire cose nuove
e la voglia sconfinata
di una carezza.”
Proprio come la vecchina della mia poesia voleva continuare a bere il liquore della vita pregnannte di sapere per riversarlo sugli altri sotto forma di storielle. Dalle mie parti c’é un detto che ha ispirato i mie versi “la vecchia di cent’anni non voleva morire” perché avida di conoscenza.
Buon 2009 e auguri per il nuovo premio di Firenze
Lucia Sallustio
@LUCIANA,
A uguri anche a te, Luciana, e grazie per il tuo bel commento. Io non sono ancora vecchio, ma mi auguro, quando lo sarò, di essere come il vecchio della mia poesia, e cioé curioso della vita come quando ero bambino. C’é sempre da imparare, sai, nella vita, c’é sempre un fiore che non abbiamo ancora colto o un carezza che non ci é stata ancora fatta. Ancora auguri, Lenio.
Ho trovato nella calza, che questa notte La Befana ha lasciato generosamente per me sotto la cappa del camino, dove ardono lingue infuocate di desideri e fumo di sogni, una manciata di preziose parole: – LA SPERANZA E’ CIO’ CHE SIAMO DISPOSTI A FARE – Gliela aveva affidata Ernesto Balducci (teologo della Teologia della Liberazione, la Chiesa dei poveri e degli ultimi).
E così, oggi, desidero con-dividere con tutti voi questa responsabilità che ci dovrebbe provocare tutti i giorni delle nostre vite. Forse strumento per crescere, fino a quando non … moriamo
Ricchezza
Ricchezza non è
ciò che abbiamo ricevuto
preso, estorto, rubato
e gelosamente custodito
avidamente conservato
Assetati del denaro
e del potere
corriamo nel deserto
dei valori. Non curanti
ciechi calpestiamo
l’Altro
i suoi bisogni
i suoi dolori
Ricchezza è
ciò che abbiamo dato
costruito, seminato
E’ dono
mattone
germoglio
il tesoro che nutre
le azioni
Trasforma i minuti, le ore, i giorni
la vita
in luminosa speranza
unica gioia
variegati colori
Luciana Vasile
@Luciana Vasile,
bellissimi versi che condivido pienamente. C’é una ricchezza particolare, interiore, nel dare, nel porgere aiuto, nel fare felici, nel condividere. Grazie anche a te per questi versi donati.
Lucia Sallustio
Il monumento alla Panchina.
.Io avevo già 22 anni e la guerra, nella quale fui coinvolto verso la fine- era già finita e la mia mente conservava ancora alcuni ricordi dolorosi da me vissuti in quel tragico periodo.
Lavoravo già da qualche mese in uno stabilimento chimico a Livorno, nella zona del Porto Industriale.
Abitavo ancora in quel romantico paesino in campagna e quindi per recarmi al lavoro, facevo il pendolare in bicicletta.
La domenica era consuetudine di andare a ballare insieme ad alcuni amici,a Livorno, in un locale vicino alla Stazione ferroviaria. Quella domenica di Marzo nel locale dove si ballava, posai gli occhi su una ragazzina, circa 18/nne. Rimasi subito abbagliato da quella magnifica luce e profondità del suo sguardo.. Era la prima volta che la notavo.
L’orchestra iniziò a suonare un tango. Era un magnifico lento argentino. Chiesi a quella bella ragazza: (come era nell’ usanza dell’epococa) “permette questo ballo?” Rispose,” mi dispiace, sono impegnata” Vedendo che rimaneva ancora seduta, mi avvicinai di nuovo e chiesi : “in attesa del suo cavaliere, vuol finire questo tango con me? Ci terrei in modo particolare:” Si alzò e iniziammo a ballare. Notai che noi due non eravamo dei ballerini affermati: Io mi difesi con l’abbraccio e con lo stringere a me questa ragazza, datosi che la musica perrmetteva di non “correre troppo”- Comunque io mi trovai a mio agio, sentivo la vicinanza del suo corpo e, anche se eravamo già a metà del brano, avvertivo una dolcezza infinita. Prima della fine della canzone chiesi alla ragazza se voleva uscire con me.L’avrei accompagnata vicino a casa perché abitava nella zona a della Stazione.
Ovviamente pensai ad avvertire i miei amici che mi allontanavo e chiesi scusa-Mi risposero: hai fatto conquiste? Risposi: forse..Per la strada di ritorno, a piedi, e con la bicicletta portata a mano, mi parlò che abitava nel palazzo dei ferrovieri perché il suo babbo era macchinista.Lei era nata a La Spezia e trasferita a Livorno a seguito del del babbo.
Andava a scuola e faceva la seconda magisttrali presso l’Istituto Magistrale di Livorono. Gli chiesi un appuntamento per i primi della settimana successiva. Mi disse che lunedì sarebbe andata a scuola anche di pomerigio. Usciva alle 17. Anche il mio orario (normale) era 8/12, 13/17, speravo che quel lunedì successivo non capitasse nessun guaio in fabbrica che mi avrebbe impedito di uscire normalmente. Quindi ci incontrammo verso le 17.30 presso una panchina del Viale Carducci a Livorno. Una bella panchina, verde. Si trovava a metà di questo viale, prima del Giardino Zoologico.-
L’incontro fu molto affettuoso. Un bacio lungo un chilometro..Era la prima volta, sia per l’incontro che per il bacio. Ma il romanticismo, la gioia di stare insieme si avverte qualche istante prima dell’abbraccio, prima che le tue labbra incontrino le labbra del tuo amore. E’ solo un istante, una frazione di secondo che però vale tutta una vita.
Quasi ogni giorno ci incontravamo su quella panchina.
Per noi era una panchina meravigliosa forse era il mobile più romantico della nostra vita.: macchè poltrone, macchè divani, macchè letti- Questa panchina li batteva tutti è stato il mobile più romantico della nostra vita.
A metà settimana ci incontrammo di nuovo, sempre alle cinque del pomeriggio.su quella famosa panchina. Improvvisamente, una pioggia leggera inizxiò a cadere. Rimanemmo sempre a sedere, senza ombrello, nonostante la pioggia, Questo improvviso cambiamento di clima, fu per noi come una benedizione, Ci sembrava di essere a Parigi ed abbiamo cantato la canzone:”scende la pioggia, ma che fa:”
Scende la pioggia ma che fa
crolla il mondo addosso a me
per amore sto morendo
amo la vita più che mai
Eravamo bagnati, ma felici. La sala da ballo era stata da noi abbandonata, non la frequentavamo più
La domenica successiva, insieme ad un’altra coppia di amici, siamo andati a Montenero. Col Bus fino alla piazza e poi in teleferuca fino alla vetta.
Abbiamo sognato in quel meraviglioso bosco tutto il nostro amore e tuttp il desiderio di stare uniti.
sergio
Cari amici,
per augurarVi un Buon 2009 prospero di successi e ispirata dall’immagine della dolce, magica Befana (anche se a Molfetta abbiamo l’altrettanto bella tradizione di San Nicola, il 6 dicembre) vi invio una mia poesia/filastrocca. Spero l’apprezzerete, anche se non é nel mio consueto stile narrativo.
L’ANNO CHE VERRA’
Che dite, chiedeva la vecchia
Con voce flebile e civettuola,
sarà quest’an che viene assai migliore
di quello ch’è trascorso e ora muore?
Il capo dondolava e all’insù mirava
gli astri brillanti parati a festa
Temendo che si facessero fulminanti.
Come ogni anno a loro preci volgeva
E litanie e versi scelti recitava
Per ingraziarseli un anno ancora
Sì da farle vedere di nuovo l’aurora.
Sperava e pregava come giovinetta
Memore degli albori e dei giorni maturi
Non paga ancora del suo sapere
Avida e desiosa di continuare a bere
Di quella vita quanto più liquore
Potesse bagnarle le vene.
Si trascinava appena sul bastone
Ma dentro il cuore era un virgulto
Tremava, ansimava e sussultava
Come se fosse avvinta da amore occulto.
Le stelle le strizzarono l’occhietto
Si rifletté lucor sulla sua veste
Il cuor prese a danzare alla cantante
“Signore ti ringrazio per queste feste,
intonava la vecchia tutta raggiante
“vita e fortuna m’hai concesso
E nuova luna vecchi rancori ha rimosso.
Ora a narrare potrò incominciare
Memorie belle e fatti esemplari.
Senza tediare ne farò bei canti
ninnananne per adulti e infanti.
Insegnerò ad amare e a perdonare
A quanti pensan che vita è sol dolore.”
Per ore cantò le vecchie gesta
finché tutti onorarono la Grande Festa.
Lucia Sallustio
@LUCIANA,
E’ bellissima la tua filastrocca! Grazie per gli auguri che ricambio affettuosamente
Daniela
Natale 2008
Non c’è quest’anno
un pellegrino che porti un fiore
nella Terra santa
anche il sole non sorge caldo
e un bimbo piange
disteso a una casa senza tetto
In questo nostro tempo
dove il dialogo tra i popoli
è interrotto
e il ricco si chiude
in teche di cristallo
non c’è posto
per un cenno
a tendere la mano
Altro era il Natale
quando la terra
girava un valzer lento
nei giorni dei lunari
e veniva condivisa
l’umile pietà
davanti a un fuoco acceso
In questo giorno sacro
l’anima del mondo
avanza la proposta
dell’amore
mentre il dolore di una madre
china un velo
sul bianco volto
del figlio senza luce.
Alberto Calavalle
@alberto calavalle,
Bellissima, Alberto, questa tua poesia. Il sole non sorge caldo
e un bimbo piange
disteso a una casa senza tetto. Meravigliose e purtroppo attualissime parole. A risentirci e tanti auguri, Lenio.
Non ci sarò
Maledetta donna, che gli aveva rovinato la vita. Eccola là, stesa sul divano perché al letto non era riuscita ad arrivare.
Eccola morente, con quel filo di voce, lei che lo aveva sempre irriso, la guancia scarna, l’incarnato giallastro, la mandibola cadente da un lato, senza quella combattività inesauribile che per decenni lo aveva tormentato, masticando lui come masticava il cibo e lo triturava, secco e duro, scrutandolo dietro gli occhiali spessi da miope.
Eccola là, ossuta, ai piedi suoi di figlio schernito da sempre, bisognosa di aiuto ma non piangente, questo mai, forte come un rostro di nave o un cingolo di carro.
Niccolò si fermò a guardarla, l’aveva di fronte e stavolta non abbassò lo sguardo. Comprese che la stava analizzando, era saldo sui piedi, insolitamente diritto, le braccia non gli penzolavano pesanti ai fianchi, si sentì diverso e finalmente sicuro di sé : – E ora, i suoi conti in banca, i registri degli affitti, le lettere degli inquilini e degli avvocati, le foto dei vecchi amanti, tutto sarà ridotto a un cumulo di carta straccia – tutto cadeva nelle sue mani di figlio reietto, con quel volto bonario, il doppio mento ben pasciuto, la pancetta da single che pranza e cena dalla mamma.
Sentiva su di sé, sbertucciato anche di fronte alle donne, finalmente il premio e l’onore della rivincita, la vittoria da tanto attesa, del libero di fronte all’aguzzino, del vivo di fronte al morente.
Bastava attendere. Nessuna colpa. Pochi minuti.
Ma poi a vederla al microscopio, lei secca e inutile mummia, si fermò a riflettere.
– Mamma, forse è meglio che telefoni al dottore
– Al 118 se proprio vuoi – lo interruppe
– Sì, intendevo al 118
– Ma se preferisci prova con Cerutti : 4419..
– 2713, lo conosco a memoria
– Sai anche che arriva il giorno dopo, a quest’ora non si muove. E domani mi trova morta. Ma ti capisco, mi hai sopportato abbastanza, vero ?
– Perché mamma ti vengono in mente certe idee balzane ?
Lei fece per insistere, ma aveva la lingua impastata e non si sentiva bene la voce, allora il figlio si avvicinò e le sussurrò: – Stai tranquilla – poi prese ad accarezzare i tasti del telefono mentre la madre si aggiustava gli occhiali sul naso e lo osservava
– 118 ? 118 ? Mandate un’ambulanza in via Florio 92 da Pini, mia madre sta molto male, c’è bisogno subito. Sì, arrivate tra un quarto d’ora ? Vi aspetto davanti al portone..
E’ fatta, non ci sarò, non la vedrò neanche morire. Tutto più facile. Ancora cinque minuti e poi scendo e rientro domani. Gli ultimi cinque minuti d’inferno.
– Arrivano ? Sai, c’è una cosa che ti devo dire, se mi portano in ospedale e non torno più.. – si fermò ad ansimare e cercò di alzarsi per respirare meglio
– Cosa ?
– Sai, quella che mi hai presentato tre anni fa.. quella separata..come si chiama ?
– Lorena ? Non ci vediamo da allora. Ricordi ? non ti piaceva. Non ho più avuto tempo di cercarla.
– Ho saputo un fatto, l’ho incontrata il mese scorso e mi ha raccontato. Sai perché si è separata e si era accompagnata a te ? Me lo ha confidato.
– Ma perché mai sei andata a chiedere ?
– E’ stata lei – tirò un lungo sospiro – quando riesco a parlare meglio te lo dico
Niccolò guardò l’orologio di sfuggita e fece un passo verso la porta mettendo la mano sulla maniglia d’ottone rilucente, poi si girò:
– Perché non me lo hai raccontato prima, dì la verità, stai inventando tutto !
– Mi ha detto che si erano divisi perché aveva conosciuto un uomo migliore, un gentiluomo vero
– Quando ci siamo conosciuti era già separata
– Ti aveva adocchiato prima
Basta attendere. Pochi minuti. Sono ormai ricco con tutti gli appartamenti. Ma nessuno sarà silenzioso e vuoto come questo. Senza donne. Senza Lorena e le altre. Perché ho incolpato mia madre ? sono io ad avere fallito, io che dopo averle conosciute non mi facevo più vivo. Ho sbagliato tutto. E ora voglio liberarmi anche di lei.
L’uomo si riavvicinò al telefono e battè seccamente i tasti:
– 118 ? sì, mi chiamo Pini, via Florio 92, quarto piano – poi a voce bassa – avete mandato l’ambulanza ? mia madre sta molto male..
– Puoi dire anche “ la mia mamma “ o ti vergogni di me ? Ripeti bene l’indirizzo, non sono tutti svelti di cervello – sogghignò lei
– Vi aspetto, tra quanto ?
– Adesso sì, prima non li avevi avvertiti. Stavi pensando ad altro. Ma sono stanca, non è un problema..
La madre girò gli occhi che le palpebre ormai pesanti chiudevano, e le uscì un filo di voce – vieni vicino, Niccolò …- avvicinò la mano allungando le dita rattrappite – forse non riesco ad arrivare a domani…parla con l’avvocato Letti di quel negozio..ci deve pensare lui, è una situazione difficile.. affidati a lui che li sa gestire bene –
– No – rispose Niccolò, ma sottovoce. Lei non lo sentì.
Che orrore ! ha ancora il coraggio di servirsi di me come segretario.. – i soldi corrono dietro ai soldi – insegna sempre – e così affida i beni agli avvocati e a me che ho bisogno non ha mai dato nulla – e aggrottò la fronte, era l’unico gesto con cui riusciva ad esprimere disappunto nei suoi riguardi, le mani erano strette ai fianchi, quasi paralizzate.
Poi il figlio retrocesse di un passo girando il volto, e incontrò la propria immagine sullo specchio incorniciato nel legno dorato del corridoio.
La foto in sala di lei a Trinità dei Monti, insieme a mio padre quando ero bambino, la sua espressione consueta, inconfondibile, ormai le assomiglio, lo specchio non mente, prima non ero così.. ho cercato di fuggire da me stesso e mentre pensavo di allontanarmi sono arrivato al punto di partenza.
– Ora arriva l’ambulanza – disse a voce alta, con tono dolente e parole scandite, e proseguì – domani pomeriggio se rimani in reparto vado io al negozio e cerco di recuperare qualche mensilità, se non dovessero saldare gli arretrati cercherò un compromesso. Anche l’avvocato Letti ha un costo, non credi ? –
Lei capì dalla calma di lui di avere vinto ancora, che quel figlio debole e solo l’avrebbe salvata. Che l’amava ancora. E che lei l’aveva condotto ancora una volta al di fuori di quell’abisso sempre pronto ingoiarlo.
Spero di avere ancora un po’ di tempo, un anno, qualche mese di vita almeno, mi basta poco per completare il mio lavoro.. il peggio è passato, con l’età passano anche i tormenti maggiori.. e si imparano a fare i conti. Quando non ci sarò più, lo so, Niccolò ce la farà..
Niccolò afferrò una sedia e la pose accanto al divano, poi seduto le prese la mano nell’attesa dei soccorsi e la tenne stretta tra le sue, le distese le dita rattrappite.
Suonò il campanello, Niccolò fece per alzarsi ma lei lo strinse a sé per trattenerlo e lo fissò da dietro le lenti giallognole : – Hai ragione a cercare un compromesso. Vai tu allora. Alcuni problemi non si risolvono del tutto, ci vuole un compromesso. I conti con l’avvocato Letti li faremo un’altra volta –
@andrea,
Complimenti, Andrea. Sai sempre tenere alto e vivo il ritmo del racconto pur trattanto di cose non facili. Non sempre le cose sono come sembrano, non sempre le colpe sono di una sola persona. A volte vittime e carnefici svolgono il loro ruolo seguendo un copione che gli é congeniale. Era la madre ad impedire a Niccolò di trovarsi una compagna o era il figlio ad essere incapace di ribellarsi e di amare? O tutti e due? Davvero un bel racconto il tuo, ottimo il tuo stile, Lenio.
@lenio vallati,
caro Lenio, la vita è spesso difficile da decifrare, sia la propria che quella altrui, noi ci proviamo, come fai tu, con comprensione e un pizzico di speranza, senza voler dare bacchettate moralistiche e bacchettate antimoralistiche, che sempre bacchettate sono, e una qualche morale ce l’hanno anche loro.
Ti ringrazio per l’attenzione, la tua mi fa davvero piacere, così come rivedere i tuoi bei racconti.
un abbraccio, Andrea
Il silenzio dell’attesa
regala albe e tramonti irripetibili,
lunghe e tenere notti di stelle e luna.
Avvolto da una musica
che ti attraversa e ti porta laddove tutto,
da quel suono è reso ancor più vivo.
Istanti preziosi e magici
come minuscole gocce di Luce,
che incantano e accendono l’AnimaMia.
Cristalli che brillano
incastonati nell’eternità,
e nel profondo dell’Infinito.
OGGI LE MIE PAROLE LE DEDICO AD UN ELEMENTO
DELLA NATURA.
IL VENTO
Vento,
sussurri parole, sotto un cielo di lacrime.
D’autunno,
Le foglie formano mulinelli astratti,
come quadri di un malinconico pittore.
Vento,
sfiori la neve come lieve carezza alla donna amata,
la primavera, ti accoglie nei prati di fiori
e fa chinare la testa alle distese dei girasoli.
Vento,
con un soffice fruscio, come carezza di seta
torni in mezzo alle nuvole,
e lì
come un turbine di pensieri cancellati,
le spazzi via
e torna a risplendere il sole…
Maria Luisa Seghi
@Maria Luisa Seghi,
Bravissima Maria Luisa, molto bella questa tua poesia. Le tue parole si rincorrono quasi a dare l’idea del vento che tutto trascina con sé, anche i pensieri tristi, facendo infine tornare a risplendere il sole.
Lenio.
@lenio vallati,
Grazie Lenio,
le mie parole volevano far capire proprio questo, mi piacerebbe immaginare che il mio vento portasse via tutte le cattive e inutili parole che vengono dette dagli esseri umani, e rimanesse solo quel vento che sfiora le cose belle.. allora si, che il sole splenderebbe sempre.
Cari saluti
Maria Luisa
@Maria Luisa Seghi,
Carissima Maria Luisa,
grazie di averci regalato questa tua bella poesia: il vento.
È la mia passione. A me ricorda, oltre quello che giustamente indichi nella tua poesia,:i colori del vento dove cercare il tuo amore e poi il vento nel bosco che fa vibrare le foglie degli alberi e trasforma la brezza in concerti melodiosi, baciati dalla meraviglia del bosco.
Grazie di nuovo e complimenti.
Affettuosi saluti,
sergio
@sergio doretti,
Ciao Sergio,
hai notato quanti tipi di vento abbiamo messo in evidenza?
Hai notato come da una parola possa nascere una poesia?
E’ bellissimo il vento che scorre veloce fra le fronde degli alberi, ma solo se, ascoltiamo il bosco con il cuore, riusciremo a sentire anche i violini che passando fra le foglie portano il suo concerto nei nidi dove i piccoli passerotti si addormentano al suono di queste bellissime melodie.
Cari saluti con affetto
Maria Luisa Seghi
A DON LUIGI DI LIEGRO
CON TUTTO IL CUORE
Vuoi che il cuore non sia cieco
e veda
chi è assalito dalla povertà
e ha brividi di tempesta
chi giace a terra, ubriaco di droga
e beve giorni vuoti
mentre il silenzio come fragile vetro
frantuma la vita.
Vuoi che il cuore non sia muto
con chi ha bisogno di parole d’amore
per nascondere sotto uno scoglio il dolore
e far volare i pensieri come gabbiani sul mare.
Vuoi che il cuore sia di carne
per battere forte
accanto a chi abita nella notte
e incoraggiarlo a far la corte alla luce
e dirle che ha tanta voglia di lei.
Vuoi che il cuore abbia la dolcezza, la gioia
la saggezza della carità.
Quella carità che con entusiasmo
con slancio, con coraggio
lavora ogni giorno, ogni momento.
Quella carità che non barcolla, non cade
non ha mai le ali stanche.
Quella carità alla ricerca del cuore
con tutto il cuore.
Giuseppina Mira
@Giuseppina Mira,
E’ vero, Giuseppina, chi ama veramente non può non vedere chi soffre, non può avere le ali stanche. Bellissimi versi dedicati a un grande uomo.
IN OMAGGIO A GIOVANNI PAOLO II
AMA LA TUA UMANITA’
Uomo, ama la tua umanità
la tua capacità di sottrarre
anche un solo lembo di luce al buio
la tua forza di andare controcorrente
quando la corrente dell’odio ti aggredisce
la tua volontà di abbracciare la verità
e non dare nemmeno una mano alla menzogna
il tuo desiderio di non dare confini alla pace
e immergerla nell’immensità
la tua generosità che è consolazione
per chi conosce l’avarizia della vita
la tua memoria del bene
che non vuole contorni sbiaditi
il tuo grido di libertà che vibra
di profezie di aurore.
Uomo, ama la tua umanità
che è anche pregio di avere dei difetti
e difetto di avere dei pregi.
Amala, anche se non vedi il cielo
quando voli in alto
e vedi il cielo quando cadi in basso.
Ama la tua umanità senza limiti e con tutti i limiti.
La tua grandezza può essere la tua piccolezza
e la tua piccolezza la tua grandezza.
Ama la tua umanità.
Il bello di te è che resti uomo.
Lo ha testimoniato “un Papa rimasto uomo”.
Giuseppina Mira
“NON SOLO METALLO”
(RACCONTO FANTASTICO)
Vidi Luca per la prima volta nel negozio di Gianni Vati, un
rivenditore al dettaglio che offriva da sempre il meglio delle
novità nel campo del toyshop internazionale.
Mi colpì subito la luce trasparente dei suoi occhietti vispi,
seppur dolcissimi.
Sentii la sua vocina implorante chiedere con insistenza il
regalo della settimana.
Compresi allora che Luca apparteneva ad una famiglia benestante
o comunque, i componenti di quel nucleo domestico, offrivano
al piccolo diverse possibilità di crescita emozionale.
Lo persi di vista per alcuni minuti.
Non potevo girarmi a cercarlo: i miei congegni elettronici
non erano stati ancora attivati, ma in cuor mio desideravo
già rivederlo e, in tutta sincerità, volevo che scegliesse me.
Non so se ai robot come me è consentito sognare o desiderare
qualcosa o qualcuno; fatto sta che, dopo aver usato tutte
le mie più “metalliche” energie per intercettare la mente del
piccolo, egli ricomparve ancora più inquieto di prima.
Era lì, lì a pochi centimetri da me. “Sceglimi, sceglimi!” urlai
con tutta la forza che avevo in corpo, pur sapendo che nessuno
poteva sentirmi, quando, incredibilmente ed insperabilmente Luca
si voltò dalla mia parte.
Mi fissò… mi fissò ancora. Sentii un brivido, poi un gran calore.
Pochi attimi di intensa condivisione amorosa, poi, finalmente
mi chiamò. Io non avevo un nome, eppure Luca mi chiamò
per nome. “Voglio Punki, voglio il robottino Punki”implorò.
Mi sentivo impazzire di felicità. Non ero più un piccolo robot
anonimo, senza neanche una confezione che mi difendesse dalla
polvere. Adesso avevo anche un nome. Mi chiamavo Punki.
”Sono Punki, Punki!” ripetevo a me stesso.
Mi concessi un attimo di vanità guardando la mia immagine
riflessa nella vetrina di fronte.
Avrei voluto saltare in alto, fino a toccare il cielo per la gioia,
ma non potevo…
Poi, successe qualcosa di meraviglioso che avrebbe cambiato
la mia vita per sempre.
Il pancione dell’anziano Gianni, il padrone del negozio, oscurò per
alcuni attimi la mia visuale.
Avevo perso di vista Luca. Mi sentii stretto da una potente
morsa: era la mano grassottella di Gianni che, prelevandomi
dal ripiano, mi roteò per 360°. Mi sembrò che il mondo
mi girasse vorticosamente attorno e che il soffitto mi cadesse
addosso, poi una manina vellutata mi accarezzò il capo,
facendo ondeggiare le mie antenne.
Adesso gli appartenevo.
Salutai di corsa, non senza una punta d’orgoglio, gli altri giocattoli,
miei compagni di viaggio, che avevano condiviso con me tanti
mesi di attesa, quindi chiusi gli occhi al passato per aprirli a quello
che immaginavo già come uno splendido e fortunato
futuro.
Finalmente a casa.
Ora avevo anch’io una casa. Avevo una stanza tutta per me,
una specie di grande bomboniera di sei metri per quattro,
popolata da balocchi intensamente colorati che mi diedero
un caldo ed apparentemente silenzioso benvenuto in quella
nuova ed accogliente dimora.
Le pareti tappezzate di fresco, riproducevano i colori della
primavera: azzurro, giallo e rosa chiarissimo.
La luce primaverile esterna era filtrata da tende leggere,
disegnate con una fantasia che riprendeva i toni tenui delle
pareti. Dal soffitto pendevano ninnoli che si muovevano
a suon di musica.
A tratti entrava dalle finestre un gradevole odore di rose.
Adesso avevo uno scopo: dovevo far felice Luca.
Aspettavo con ansia i momenti per gratificarlo. Godevo dei
suoi sorrisi e delle sue urla di gioia quando, attivando i
miei congegni, eseguivo per lui, in lungo e in largo, delle
circonvoluzioni che disegnavo sulla superficie del pavimento,
del tutto degne di un campione di ginnastica artistica.
Ubbidivo ad un programma che il mio creatore aveva inserito
nei miei circuiti elettronici.
Mi accorgevo di essere importante per il mio piccolo, nuovo
amico, ma un brutto giorno tutto cambiò.
Da qualche tempo, in quella casa, aleggiava una strana aria
di silenzio e desolazione. Sentii delle insolite frasi pronunciate
sottovoce attraverso la porta semichiusa della cameretta di Luca.
Ne intercettai una: “Ma il dottore cosa dice?” “Dipende da come
reagirà alla terapia…” fu l’immediata risposta alla domanda.
Sperai con tutto il mio cuore di metallo che non si trattasse
del bimbo, ma ahimè capii solo più tardi che il suo corpicino
era devastato da una gravissima malattia: la leucemia.
I giorni passavano e, benché il piccolo non fosse stato ancora
ospedalizzato, si alzava sempre più di rado. Sembrava davvero
molto stanco. Mi struggevo al pensiero di non poter far
nulla per lui quando, un giorno, qualcuno azionò i miei congegni.
Non era una persona di casa, forse un’infermiera, non so…
A quel punto ebbi un’idea! Cominciai a muovere le braccia,
il capo, le antenne. Si azionarono tutte le melodie
elettroniche previste dal mio programma sonoro.
Ma questo non bastava: Luca era abituato a quelle
prestazioni di routine.
Dovevo assolutamente far di più. Volevo e dovevo scuoterlo,
stupirlo. Insomma dargli gioia, schiarire un po’ quel gelido
nebbione che rallentava ed offuscava le sue attività, intorpidite
dalla malattia.
Dovevo ricorrere alle energie di riserva. Sapevo che chi mi
aveva programmato aveva inserito un altro congegno nel caso
si fosse arrestato quello principale.
Dovevo rendere assolutamente innovativi i miei risultati.
Iniziai a far capriole, una, due, tre…dieci…venti! Proseguii
con decine di avvitamenti, degni di un trapezista. Sbattei più
volte la testa su di una sedia, fracassandomi l’occhio destro
e l’antenna destra, posti sul mio capo maciullato.
Perdetti l’equilibrio.
Sentivo che avevo ancora dell’energia da sfruttare. Avvertii
un certo calore. I fili del mio cervello, che nel mio caso si
trovavano all’altezza della pancia, si stavano surriscaldan-
do. Il calore aumentava sempre di più. Stavo raggiungendo
l’incandescenza che, nel mio caso significava la distruzione,
ma questo non m’ importava.
Sentivo che stavo per “morire”, ma contemporaneamente udivo
le urla di gioia di Luca: rideva come non aveva mai riso prima.
Le mie capriole lo divertivano follemente.
Batteva le manine una contro l’altra applaudendo
per lo spettacolo che gli offrivo, uno spettacolo gradito,
quanto mai visto!
Mi fermai alcuni secondi allorché vidi uno dei suoi piedini
scendere dal letto. “Ci sono riuscito!”gridai.
Nessuno poteva sentirmi, ma io continuai a gridare:
”Ci sono riuscito!”
Da giorni, infatti, Luca non si alzava più dal letto ed
io, con la mia ultima esibizione, gli avevo restituito un
po’ di forza ed entusiasmo per la vita.
Persi nuovamente l’equilibrio e sbattei violentemente la testa.
Persi anche l’altro occhio sinistro. Non potevo più vedere
il mio piccolo amico, ma continuai lo stesso a girare, a girare
ancora all’impazzata su me stesso.
Udii improvvisamente un traaank e sentii un greve odore
di bruciato. Già, ero proprio io: mi stavo autodistruggendo.
Ricordo che caddi con violenza sul pavimento, ma non mi
fermai subito, continuai a girare per qualche secondo.
La lamierina che rivestiva la mia scheda elettronica, si staccò
dal resto della mia superficie metallica e dei fili bruciacchiati
fuoriuscirono dal loro abitacolo.
L’ultima dolcissima sensazione che provai prima di addormentarmi
per sempre, fu la percezione tattile di una manina adagiata su di
me: era piccola, fresca, vellutata: sì, era proprio quella
del mio piccolo Luca. Gli mandai un bacio…
Non so se anche i robot hanno un Dio, ma pregai con tutto me
stesso che quell’ultimo messaggio di amore lo raggiungesse,
poi mi accartocciai irrimediabilmente ed inesorabilmente sul
pavimento…
Marina Maria Iosè Riotto
@Marina Maria Iosè Riotto,
una fiaba dolcissima e ricca di fantasia, dove anche l’anziano pancione e la mano grassottella del bambino sprizzano allegria e distaccano il mondo incantato dei bambini dalle paranoie degli adulti
INTIMO RIFIORIRE
Solitario amore
tra le pieghe
delle vuote giornate
scorri in rivoli di tremori
a raschiare il grigio
che svilisce il cuore.
Intimo rifiorire
di rosa al tramonto
in veli di pudore
sono….nei tuoi occhi chiusi
pelle della tua carne
e del tuo sangue
il grido che ogni or
a te mi riconduce.
Fondersi di corpi
a sciogliere melodie
nelle segrete terra dell’anima
quando labbra tenere
respirando mute
tra sopite ombre
accendono di fuoco
i silenzi.
@alifarfalla,
Alifarfalla, questa tua dolcissima poesia é un leggiadro volo di luce verso il tramonto. A risentirti, Lenio.
NEI MIEI RESPIRI
Tra i respiri
del mio tempo
ho imprigionato
attimi di te
nei miei silenzi.
Sui sentieri
della pelle
piano camminano
calde labbra
assetate d’amore.
Nell’estrema arresa
dolce l’abbandono
a vestire l’anima
di nuove ali
per tornare a sfiorare
il cielo.
Che questo nuovo anno porti laddove i cuori vagano senza meta ….nell’oblio della solitudine e della sofferenza……RINASCITA A NUOVA VITA
RINASCITA
Ammalata di solitudine, in giorni vestiti di tristezza, sto facendo lentamente morire il cuore…..
Oggi però, non ho voglia neppure d’indossare la solita maschera e recitare la parte di sempre sul palcoscenico della vita.
……..Oggi, voglio far respirare all’anima, la nudità di questa soffocante disperazione che attanaglia la quiete apparente del vivere.
Voglio ascoltare l’eco di questo antico dolore, giunto ora a chiedere il conto da pagare…… e nel silenzio, spogliandomi di tutto, camminare sulle sponde del mio mare, nel tentativo di ritrovare me stessa.
Voglio tornare a dipingere i colori dell’aurora sulle lacrime che cadono come foglie di tramonti morenti e nell’alba di respiri di luce….. lasciare libero lo sguardo, oltre i confini di questo deserto che prosciuga e uccide i sogni.
Voglio di nuovo accarezzare la speranza di giorni che scivolano piano tra le braccia di cieli stellati, nel dolce mormorio della risacca del tempo.
Voglio spezzare il vuoto delle ore con i battiti del MIO cuore e gridare la sete di vita a questo mondo che….. indifferente…. passa…. e va……..
@alifarfalla,
Non credere MAI che tutti siano indifferenti! Il mondo è fatto di tante unità, e c’è sempre quella più sensibile ed attenta. Ti auguro di trovarne molte vicine a te. BEatrice Bausi Busi
Fu sera in un battito d’ali, una lieve brezza le scompigliò i capelli che solo lui aveva il permesso di accarezzarle, lui, che con il suo tocco le riaccendeva il sorriso. Il fiume non rideva come un tempo,
sembrava narrarle la loro storia e ne fu testimone, la vide scorrere come le sue acque. Tristi scorrevano i giorni, irrigati da lacrime e notti insonni. Facce ridenti l’attorniavano ma l’angoscia della sua mancanza le lasciava un vuoto incolmabile. Come può un amore essere così crudele? Essere vissuto come un lento negarsi?Ricordi snocciolati la sommergevano negandogli spiragli di sereno non era più lei. Delle mani fredde quella sera le toccarono le spalle, incurante rimase assorta avvolta dall’amarezza. Non era il suo tocco, ma parole suadenti che nessuno udì, nemmeno il fiume, le fecero levare il capo, chino su mani pregne di sale. Una voce di donna solo questo ricordò e niente piu’..non riuscì a distinguerne l’effige poichè la disperazione ha molteplici volti e commossa la prese con sè..
Dietro un sogno….
Quasi brivido
Sfiorato
Da lontano
E’ il ricordo
Che il vento
Trascolora
Quasi voluta
Segnata d’infinito
E’ la speranza
Che dialoga
Con il tempo
Tu saprai
Piegare
Dentro scrigni vuoti
Serici grovigli
Come abluzioni
Saprai scavare
Dentro malinconie
Sradicare riflessi
Diventare essenza
Rinascere segreto
Invocare pace
Sfollare tanta nebbia
Farti orma
Ma io io
Cerco l’altrove
Io perennemente
Ombra
Dietro un sogno
Io anemone
Che fiorisce
Ai venti
Resterò anonima
Straniera
Su laghi di fronde
Ormai perduti
A supplire
Possibili rifiuti
O vagherò
Invisibile
Sospesa
Sotto un cielo
Che sbriciola comete
Col sole basso
Tra le siepi
A scandire
Le onde aspre
della sera?
Comunque sia
Riprenderò
Il cammino
E forse in cerchio
O forse obliquamente
Sarò ombra
Del passato
O avvenire…
Grazie infinite , Nicla ,per questa opportunità .Auguro un Anno ricco di soddisfazioni per l’impegno e la passione …..
Diversamente abili
Blande corolle
Tenui fili
Aneliti
Brevi sospiri
Traumatizzati
Da bizzosità aerata
Che senza tregua
Aggobba
Eppure
Non treccano
Felici di essere
Si destreggiano
Nella diafanità
“Il Pensiero”
Un momento è leggero come piuma trasparente
Non lo acchiappi e sfugge agli occhi, se lo prendi tramuta il colore
In nero o grigio, appesantito da coscienza reale
Lo tieni in mano e osservandolo
Con moto improvviso di disgusto lo getti via,
Il più lontano il più in alto
Se puoi volgi altrove lo sguardo mentale
Ma quello è di nuovo piuma,
Ci vedi attraverso e ti alita attorno
Lieve ballando e saltando indistinto
E’ probabile che ti si posi sul capo, allora
Ci si attacca per non andar più via
Può essere caldo, può essere sudato e tremante
Quel pensiero che di carne è diventato
Può in quel caso mutare in goccia
Imperlarti le tempie e assorbire il tuo cuore
Lo elimini dal viso con affanno
Ce l’hai in mano il tuo pensiero, senza ali stavolta
E incollato a te, puoi andarne fiero
Quando punge il petto e ti stimola il cuore
Avvolgendoti di bruma soffocante il cervello e il corpo stanco
Quella è angoscia,
Nera la nuvola e secchi gli angeli del futuro
Senza sorriso e a passi pesanti arrivano quelli dell’ora statica
A schiacciare e saltare sulla ragione
E stracciare il tuo amore
Se è iroso e armato di coltello e pistola,
Vicino al cuore è presente solo il tuo rancore
Senza scampo lo stringi in mano
Ferroso e tagliente vendica il tuo onore.
La musica dal bosco
di Panaveggio.
qui l’armonia è sublime,
anche se tacita,
creata da musici romantici:
alberi antichi,
che vibrano come
dorate canne,
nella dolce brezza,
in quel palco incantato,
di questa foresta
dei violini.
Noi spettatori esultiamo,
per questa musica divina.
e ci troviamo ad applaudire,
questi musici e poeti:
i romantici abeti ,
alberi esecutori
sergio
.
@sergio doretti,
E’ l’armonia della natura, quella cioé non creata dall’uomo ma che l’uomo spesso vuole distruggere. Pensiamoci bene e rispettiamo il bosco, e le sue creature, perché da lui e da queste ci giunge una musica sublime che noi non possiamo eguagliare.
Gent.mo Robert, questo mio racconto l’avevo già inserito nel mio blog sul Manuale, ma, per motivi di spazio, l’avevo dovuto riassumere in maniera forse eccessiva. Permettimi di ripresentarlo di nuovo perché penso che così, in versione integrale, abbia tutto un altro sapore. Grazie, Lenio.
Storia di un chicco di grano
Eravamo un centinaio nell’incavo di una mano rugosa, pronti ad essere lanciati nei solchi aperti dal vomere a fecondare la terra. Per tanto tempo restammo immobili, lì sotto, nell’attesa di poter rivedere la volta azzurra del cielo. Qualcuno di noi iniziava già a brontolare. Non bisogna aver furia, diceva quello che forse era il più saggio tra noi. Occorre saper aspettare, ciò che deve avvenire avverrà. Venne la brutta stagione. Vento, pioggia, lampi. Noi sentivamo solo il frusciare delle foglie sul terreno, il sibilo del vento che le trascinava via e il ticchettio della pioggia che le macerava lentamente. Ma il peggio non era ancora arrivato. Una mattina mi svegliai e mi sentii avvolto da un freddo intenso; “è la neve”, disse il solito saggio. Io non sapevo che cos’era la neve, non l’avevo mai vista. “La neve è una bianca coltre che ricopre la terra, come un lenzuolo. Quando comincerà il disgelo, a primavera, noi inizieremo a germogliare”. Trascorse tanto tempo da allora. Intanto il mio corpo si era come ingrossato, e aveva lasciato fuoriuscire due foglioline verdi che ogni giorno si allungavano verso l’alto. Finalmente l’ultimo velo di terra si schiuse e riuscii a vedere il cielo. Un grosso albero era accanto a me, e dai suoi rami verdi pendevano tanti fiori rosa. Un gorgheggio si spandeva nell’aria. E non ero solo, centinaia, migliaia, milioni di piccole pianticelle mi circondavano, come un piccolo esercito senza confini. Il vento era sparito, la pioggia scomparsa, la neve un brutto ricordo. Ogni giorno crescevo di qualche millimetro. Non vedevo l’ora di diventare grande. “Non abbiate fretta” ci ammoniva il saggio “un giorno rimpiangerete la vostra gioventù!”. Il sole si faceva sempre più infuocato, e dai rami dell’albero adesso di un bel marrone scuro pendevano bellissimi frutti che cangiavano dal giallo al rosso. Non si correva certo il rischio di addormentarsi, perché un sinfonia di cicale ci accompagnava per tutto il giorno. La notte, poi, un leggero alito di vento ci donava quel refrigerio indispensabile ad affrontare la calura del giorno seguente. Alcuni piccoli lumi, la notte, volteggiavano sul nostro capo. Si accendevano e si spegnevano, alternativamente, accarezzavano le nostre spighe ancora verdi e volavano via, per poi riapparire di nuovo, fino all’alba. Nel campo non c’eravamo solo noi. Alcuni fiori azzurri spuntavano qua e là. Fiori di un rosso brillante, che si davano grande importanza, ci superavano in altezza. Ciuffi d’erba si insinuavano tra noi, ad interrompere la monotonia del giallo. Intanto le nostre spighe si facevano ogni giorno più gonfie di grossi chicchi. Lunghi baffi neri spuntavano dalle cime. Eravamo dei veri guerrieri, il nostro era un poderoso esercito che si estendeva per tutta la pianura. Di lì a poco sarebbe venuta la trebbiatrice, e ci avrebbe falciato per fare di noi pane, farina, crusca. Sul campo sarebbero rimaste solo stoppie riarse. Ma io ero contento. Sarei servito a fare la felicità di tante persone, al alleviare la fame di tanta gente. Il mio sacrificio, insieme a quello degli altri miei compagni, avrebbe significato gioia per l’intero villaggio. Forse è questo il vero motivo che ci fa sopportare il vento, la pioggia, la neve, la morte, il vero motivo per cui siamo nati, l’amore.
Lenio Vallati
@lenio vallati,
Morire per amore è un gran bel morire, forse l’unico che valga davvero la pena. Ti auguro pane fragrante, sale e vino schietto SEMPRE PRESENTI sulla mensa della tua vita: che mai vi sia fame nella tua casa, che ci sia allegria e anche SAPORE! BBB
@Beatrice Bausi Busi,
Grazie Beatrice, io penso davvero che la cosa più bella che un uomo possa fare é morire per amore. L’hanno fatto tanti uomini che hanno dato la loro vita per un ideale, che hanno combattuto per la patria o contro la camorra. Meglio ancora, e augurabile, é che si possa riuscire ad amare e al contempo rimanere vivi, non trovi? Ricambio i tuoi auguri di cuore, Lenio.
Da: SCINTILLE, Un Racconto di Natale
Non era facile ricostruire come fosse successo tutto ciò,perchè non c’era stato un vero inizio della faccenda.Quando non si può partire da un punto certo,è quasi impossibile descriverne gli sviluppi…Per esempio,ricordava forse uno sguardo particolare durante il loro primo e banale incontro a quattro?No.Forse,uno un po’ più intenso al momento del commiato,sempre a quattro,o meglio “a due a due”,lei e la sua amica e loro due?No.Le aveva in qualche modo fatto capire che il suo numero di telefono forse gli avrebbe fatto piacere?No.Eppure, dopo la vacanza sulla neve con sua figlia,le aveva telefonato invitandola a cena.Un momento:adesso,nel ricordo,stava saltando a pie’ pari il momento in cui con discrezione glielo aveva dato lei il suo numero di telefono o meglio, gli aveva dato,con classe,la possibilità di chiederglielo,quel benedetto numero.Insomma,ad un certo punto,si erano ritrovati tutti e due nella condizione di poter decidere se contattarsi o no, anche se i passi salienti di questo lento e aggraziato minuetto li aveva iniziati tutti lei.Ma senza fatica,questa volta;l’unica nella sua vita in cui ogni nota che vibrasse faceva danzare lei per prima,ma senza che rimanesse mai sola in questo ballo a due.Sì…un ballo elegante e misurato,un minuetto gentile e settecentesco di cui adesso,nel ricordo e nella realtà del momento,si ritrovava ancora a muovere tutti i passi,così contenuti e spontanei,sulle note di qualche clavicembalo lontano,suonato chissà da chi,in una delle tante stanze,una dentro l’altra,del complicato palazzo della sua mente.
Ecco,aveva trovato il punto:Gherardo,nella sua mente,era un gentiluomo veneziano,tutto belle movenze,come non usa ai nostri giorni,eppure così virile nel suo bell’aspetto di uomo mediterraneo.E la voce:sempre un sussurro,mai una nota troppo alta,come le luci e la musica,che lui amava soffuse…come quella della candela che lei aveva acceso in camera da letto,prima di fare l’amore,l’ultima volta che era stato da lei…e lui l’aveva chiamata “Bijou”,prima di fuggire via senza un minuto di preavviso,ripiombato nella tristezza che lei aveva percepito dalla prima sera che si erano ritrovati soli, lui e lei.
(…)Sono i giorni di Natale e tutto scintilla:la casa di Elena è un brillare rosso e oro di candele e di fiocchi.Lui non ama il Natale, almeno così dice,mentre lei se lo inventa il suo Natale di affetti che non ha:se lo è creato anche quest’anno,ornando la sua casa come se aspettasse chissà quali visite e dovesse imbandire chissà quante tavole la sera del ventiquattro e nei giorni seguenti.Invece,li ha passati da sola,senza uscire e senza accettare i numerosi inviti ricevuti;non c’era altro posto dove volesse essere e dove potesse stare,senza sentirsi un cane randagio in cerca di calore natalizio. Ogni tanto il pensiero le andava a Gherardo,che era sulle Alpi con sua figlia e che, nei giorni fra la cena a quattro e la sua partenza per la neve,le aveva prospettato più di una volta di uscire a cena e poi,immancabilmente,le aveva detto che gli dispiaceva tanto ma era stanco e non sarebbe stato una buona compagnia.Ecco da dove le era venuta l’idea di Casanova.Si era ripetuta che questo bell’uomo, definibile ancora un bel ragazzo,era la persona che ci si doveva aspettare tra le conoscenze dell’amica comune che li aveva presen tati,alla famosa cena a quattro;come lei,era evanescente,inafferra bile,con troppe occasioni per volerne fissare una con un po’ di anti cipo,sia pure per una sera.E non ci aveva pensato più di tanto.Ma il ricordo di quella voce e del suo viso erano piacevoli.Meglio così,si era ripetuta per tutta la settimana fino a quando,appena tornato dalla montagna,lui le aveva telefonato proponendole di uscire a cena.Convinto,questa volta.Scinille di piacere,ecco cosa ricorda adesso di avere visto,mentre la voce sensuale eppure flebile di Gherardo le chiedeva come stava e la invitava fuori quasi all’ultimo momento.E da quel momento tutto aveva scintillato.(…)Il ristoran te-casale risplende pacato dei riflessi oro caldo del camino acceso;i suoi occhi scuri che brillano la scrutano fin sotto la tovaglia che le ricade sulle belle gambe.”Sbircio le tue belle calze”,le dice sorriden do Casanova,dopo una delle sue occhiate furtive,velocissime e definitive;sorride,di quel sorriso caldo che brilla nella penombra e che,altrettanto rapidamente,gli invade e poi abbandona gli occhi che,all’improvviso,si fanno cupi.Poi,di nuovo,le versa il vino che risplende d’ambra,sul tavolo vicino al caminetto.E allegria,tanta alle
gria nei loro discorsi ironici e nelle barzellette che si raccontano come vecchi amici.
“Saliamo da me?”. “Che bella atmosfera in questa casa…”,dove tutto risplende di luci pacate e diffuse,sui divani dai toni rosa e bor
deaux,al lume delle candele che lei si accende sempre,anche quan
do è sola.(…)Non è successo niente ma tutto scintilla nella mente
di Elena,quando chiude la porta e si volta a guardare quel divano vuoto,nella luce delle candele sul tavolino basso di cristallo,che la raddoppia,come nelle sale tutte specchi del palazzo della sua mente,in cui ha cominciato a ballare questo minuetto aggraziato con il suo Casanova misurato e triste.
@Paola Pica,
Cara Paola,
Per prima cosa voglio ringraziarti per la copia del libro “Un uomo per bene” che ho ricevuto.
E’ stato un gesto veramente gentile, offrirlo a chi ne faceva richiesta.
E’ un libro molto bello, hai avuto il potere di farmi scivolare le parole nella mente come una leggera e soffice stoffa di seta, intrecciata con la ruvida canapa…
Seguivo leggendo, i gesti, le parole, i pensieri, le cattive azioni di questo uomo che portava sempre con sè la maschera del perbenismo truccata da : UOMO PER BENE” . Sono stata la sua ombra…
La fine del libro.. bella…e come doveva essere.. Bravissima.
—– Ora parliamo delle scintille della vita:
le scintille della gioia, delle candele, delle luci, delle idee…
Il racconto è molto bello e parla con sincerità di sentimenti umani, poteva essere un bella storia, ma le scintille le sentiva nell’aria solo lei e le vedeva nella sua casa addobbata per il Natale, ma lui…era triste e cupo, pieno di pensieri e di complessi, non poteva scintillare, le sue luci erano spente, a lei non è restato che chiudere la porta e perdersi nelle scintille del suo salotto, immmaginando di ballare un minuetto aggraziato insieme al suo Casanova.
un caro saluto
Maria Luisa Seghi
Respiro e vivo
Guardo le spume
sciabordare d’argento
sulle rocce dei sogni
Respiro e vivo
tra le brine,
immaginando un volto,
un corpo di luce.
Come forte vento
voglio vivere,
sventagliando,
profumi di mare
sopra di te,
voglio innalzarmi
senza gravità
leggero, etereo,
rimanere eterno
vicino alle cime,
vicino alle nevi,
vicino alle stelle:
così vivono
i forti venti,
così amano, danzando,
gli uomini liberi.
LETTERINA DI NATALE
Caro Gesù Bambino,
tu che sei sceso in questa valle di lacrime per liberarci……..
No, non credo così vada bene. Io non so pregare!
Vado, comunque, convincendomi, o illudendomi, che saper di non saper pregare potrebbe essere l’inizio della preghiera. Del resto “saper di non sapere” non è l’inizio della Conoscenza?
Se pregare fosse ‘chiedere’, ma proprio su questo ho i miei dubbi, non mi sento idonea, a me piace dare, lì traggo la mia gioia. Deve essere sicuramente qualcos’altro. Ho bisogno di capire meglio. Forse pregare è raccontarsi in uno spietato autoperdono senza veli né timori? Oppure semplicemente… ringraziare?
…. RIPROVO…..
Caro Babbo Natale,
tu che così generosamente hai doni per tutti , pescati dal tuo pesante sacco senza fondo che contiene tutti i desideri dell’uomo……….
No, non credo che neanche lui possa essere il mio interlocutore.
Troppo pagano, attaccato ai beni materiali, impegnato al soddisfacimento dell’inutile e del futile. Un bonaccione qualunquista furbetto superficiale. La pancia troppo prominente (mangiare! mangiare!). Il volto nascosto fra l’incolta canuta barba. Dietro la pancia, dietro la barba, celerà qualche subdola insidia, trabocchetto, ipocrisia?
Ma poi perché oggi, in questo Natale, il mio nuovo desiderio di scrivere una letterina di Natale?
Non credo, non ricordo, di averlo mai fatto neanche da bambina. Non ho desiderio di prendere ma semmai di lasciare nel dono di sé. Troppo orgogliosa per piagnucolare querula, riluttante di fronte agli inutili proponimenti che, onestamente, so di non poter mantenere. Essi fanno parte di una logica cattolica che rifiuto come la Confessione: pentirmi, ora, di qualcosa che domani rifarò di nuovo! Troppo stupidamente e ingenuamente sincera, fino alla dabbenaggine. Neanche un po’, un tantinino, politica.
Per farla breve non ho mai scritto letterine di Natale a nessuno per totale incapacità su tutti i canonici fronti, utili, per poter affrontare un problema delicato e impegnativo come quello delle promesse o dei desideri che vorremmo veder realizzati.
Ma è altrettanto vero, però, che io sappia scrivere e forse ne abbia dato prova intanto a me stessa, solo lettere (come esigenza di un interlocutore?) magari non di Natale.
Perché queste ultime presuppongono futura incondizionata bontà e il non voler peccare più.
No, voglio peccare! Per eccesso di emozioni e sentimenti. Dio, che orrore, per chi i peccati li pensa e non li fa! Costui va di sicuro in Paradiso, in cielo… lo hanno inventato apposta… per lui! Io resto qui, a prendere a volte anche un po’ di schiaffi, ma che dico schiaffi, veri e propri sganassoni nel mio personale purgatorio, in terra, al fine di espiare le mie colpe.
E così la mia letterina di Natale ho deciso di scriverla a te, prezioso zio Confessore, non cattolico, per carità! ma laico, che non ha bisogno di perdonare o di infliggere penitenze ma semplicemente (questo è il difficile!) condividere. Un confessore che accolga, anche “bacchettatore” furioso e senza sconti, ma sempre sincero, che poi comprensivo, dopo il racconto allarghi le sue braccia e mi avvolga caldo affettuoso, stringendo il corpo e il cuore come è solito fare con tutte le nipotine che a lui si abbandonano fiduciose.
Ma, ora ti domanderai, dopo tanti anni, una vita, di silenzio perché l’irrefrenabile desiderio di scrivere questa benedetta letterina di Natale la cui prerogativa è ‘chiedere’, nata proprio per questo, questa la sua ragione? Domanda più che lecita. Pronta è la risposta.
Perché finalmente una richiesta da fare ce l’ho pure io.
Impellente. Perentoria. Dal forte desiderio. Di incrollabile determinazione.
Caro zio Confessore,
lo chiedo quindi a te, tu se ben ricordo non ne possiedi…
Nell’anno che sta per arrivare VORREI FOSSERO ABOLITI DALLA FACCIA DELLA TERRA TUTTI I TAPPETI. Via, via, togliamoli di mezzo!
Tu che ne pensi? Vuoi aiutami, in questo giorno natalizio, anche a costo di far fallire il Signor Zinouzi (ditta di tappeti persiani dal 1952) e qualche povero vu cumprà?
Finalmente ho capito, e solo da qualche settimana dopo attenta riflessione, in seguito alla mia visita quel giorno di Ottobre nella magione dei coniugi Bianchi (quante coppie apparentemente immacolate nell’italico stivale!), la mia quasi maniacale idiosincrasia, e da sempre, per i tappeti. Nella mia casa non ne ho neanche uno, evito di consigliarne l’acquisto ai miei clienti. Sicuramente conseguenza del mio più volte conclamato minimalismo, ma non solo.
Il tappeto COPRE.
Copre magagne, pavimenti usurati, rovinati, rabberciati, vecchi, dozzinali, dai marmittoni e mattonelle traballanti senza più collante che li leghi al massetto, parquet liso e scricchiolante. Insomma il tappeto è mancanza di coraggio nell’affrontare la realtà di dove esattamente mettere i piedi. Rende apparentemente soffice il calpestio, attutisce ogni rumore, cammini indisturbato senza che gli altri se ne accorgano. Diventa complice silenzioso della subdola ritirata di chi si vuol dileguare sottrarre scappare.
In perfetto accordo, nella loro casa piena di mobili scuri quasi tutti antichi, ma in un contesto anni sessanta-settanta, eccessivamente lavorati e suppellettili inutili ridondanti barocche, i coniugi Bianchi mi confessarono la loro passione sfrenata per i tappeti. Del resto io non seppi trattenere di esternare a mia volta, presente anche la Signora, il mio non gradimento dell’oggetto in questione. – Adoro gli ambienti nudi – dissi senza esitazione. La mia frase non suscitò meraviglia né disappunto, per la ben nota stravaganza della categoria degli architetti alla quale appartengo. Ma allora ancora non avevo riflettuto bene sul valore simbolico del tappeto. Tutto ha un’anima e un significato! Ogni cosa, ogni scelta. Anche la mia eccessiva antipatia per il povero tappeto ha una sua logica, legata al mio carattere, al mio modo di pensare e sentire.
Il soggiorno Bianchi, l’ambiente dove ricevono i ‘forestieri’ con impeccabile ospitalità e studiata cortesia da parte della Signora, è ricoperto di tappeti in una vera ossessione. Quasi imbarazzante. Ve ne sono di tutti i tipi e di tutti i generi, antichi moderni caucasici africani peruviani afgani etc.. Io ne capisco molto poco, come di tutte le cose che rivestono per me poco interesse.
Quel giorno ne mancava pure uno, era dal restauratore!
Sono appoggiati anche gli uni sugli altri senza ordine e logica… basta che coprano! Non si riesce a scorgere neanche un centimetro quadrato di pavimentazione, interamente occultata, nascosta, bella o brutta che sia. Insomma chi arriva non si rende minimamente conto su quale terreno stia procedendo, quale la base sulla quale si stia muovendo. Il calpestio pare ben disegnato, variopinto morbido caldo accogliete e quanto di più impeccabile la mente umana possa immaginare! Ma sotto? Cosa, sotto al bianco della purezza della coppia perfetta e in armonia?
L’ambiente passante sud-nord è nella penombra, non sono sufficienti le due finestre che si fronteggiano.
Diverso è il tinello dove si pranza. Ma lì gli ospiti non dovrebbero entrare. Niente tappeti, finalmente. Una stanza ben illuminata dai raggi ad occidente provenienti da un’ampia finestra. Un lungo tavolo, tante sedie dall’alto schienale attorno, una libreria, un passavivande di collegamento alla cucina e il carrello di legno e vetro, tipo modernariato, con sopra il televisore, sul cui ripiano inferiore, quel giorno di Ottobre, troneggiava in bella mostra il mio librone rosso (pronto per essere letto dalla Signora, previo il mio permesso!). Lei ogni tanto lo guardava vogliosa e interrogativa. L’avevo scritto con suo marito. Un carteggio via e-mail. Gliene parlammo, anzi ne parlò lui, durante il pranzo, spiegandone per sommi capi il contenuto. Da incallito perbenista doppiogiochista, ora, di fronte alla sua consorte, lo fece con grande disinvoltura, dicendo e smentendo, affermando e negando, approvando e disapprovando. Lei sempre più curiosa. Rimuginava. Cosa mai ci stava scritto? Come e quanto avevamo ‘osato’ e ‘insieme’? E poi pensando al peggio… che avrebbe detto la gente? Il vicinato, il borgo, la provincia?
Vedi, zio Confessore, quell’ormai famoso giorno di ottobre nella magione dei coniugi Bianchi istintivamente respirai aria ostile, dall’energia negativa, pur camuffata sotto le immancabili cortesia e affabilità della Signora. I modi stridevano con gli stati d’animo realmente provati che pur trasparivano galleggiando in silenzi imbarazzanti, scivolando su arruffati presentimenti, finalmente atterrando su frasi fatte e banali. Nei giorni seguenti la Signora ha letto!
Il pensiero di me in realtà lì è rimasto, in quel soggiorno cupo senza allegria dove apparentemente tutto era in ordine perfetto, ma troppo prevedibile e ovvio per essere vero. Ogni cosa al suo posto. Un posto per ogni cosa… Poi devono aver ritirato il tappeto dal restauratore in vista delle imminenti feste. Dovevano coprire ancora qualcosa! Qualcosa di indecente!
Io ero sempre lì, stringevo forte al petto il mio grosso libro rosso, del fuoco di tante passioni, non di vergogna! e poggiavo il suo peso sullo stomaco, centro del mio essere. Quella creatura che voleva nascere e che forse, come spesso avviene, non lo aveva neanche chiesto, c’era! Era successo! Dovevo difenderla da colui che mi aveva inseminato infilandosi come un miracolo nella feritoia della mia posta elettronica. Lo stesso che ora disgustosamente voleva costringermi ad abortire, ad abbandonare al suo destino quel feto già formato, nutrito per mesi di parole, fitti segni neri su un foglio bianco che erano il suo corpo e il suo sangue. Una vita, la sua, ormai autonoma. Un concentrato di forza nell’anelito per sopravvivere.
Hanno visto la mia determinazione, e così quel tappeto mirabilmente rappezzato me lo hanno buttato addosso.
Lì sono rimasta, sotto quell’antica coperta che mi soffoca. E’ da lì che ti scrivo. Ancora non vinta spero in qualche provvidenziale liberazione. Qui sotto è tutto polveroso vecchio stantio, pieno di muffite falsità ipocrisia viltà possesso, ceduti in prestito e scambiati per amore. La gioia luminosa dell’Amore Vero (che per sua stessa definizione rende sempre migliori no peggiori), della comprensione, della fiducia non penetra. Il mio cuore autocombusto incenerisce.
Avrebbero voluto offuscare anche i miei occhi ma essi per fortuna sono pieni di spifferi da tutte le parti. Anche da qui dove tutto sembrerebbe perduto, cercano, mandano messaggi ad un Angelo Liberatore. Mi hanno relegata nell’angolo più remoto e buio da dove non posso nuocere al Signor Scrittore dai dolcemente bianchi canuti capelli e ai suoi recenti e ben comprensibili attacchi di vertigini+otoliti vaganti+artrosi cervicale, tutti scecherati e ben miscelati, il minestrone per nutrire la difesa e la ritirata. Qui nessuno degli ospiti familiari amici può scorgermi… che direbbe la gente!?!… ma loro lo sanno che sono lì.
Aspettano pazienti e sperano… che in silenzio, senza un rantolo, muoia di asfissia.
Ma quanto ossigeno e capacità vitale hanno i miei polmoni! Loro non lo immaginano!
E così la mia richiesta. Impellente. Perentoria. Dal forte desiderio.Di incrollabile determinazione: Nell’anno che sta per arrivare VORREI FOSSERO ABOLITI DALLA FACCIA DELLA TERRA TUTTI I TAPPETI. Via, via, togliamoli di mezzo!
Ecco, ti ho aperto il mio animo, prezioso zio Confessore, pur sapendo che tutto questo sproloquio non servirà a nulla, inutile, nessun esito, proprio come tutte, e sempre nei secoli le…
letterine di Natale!
Luciana Vasile
Questa mia poesia è dedicata al mio dolce nipotino Vittorio, 3 anni, colpito due mesi fa, da un tumore al rene. Un Natale triste per noi, con la speranza che un raggio di sole, torni presto a riscaldare i nostri cuori. A mamma Manuela e papà Vincenzo, da questo spazio voglio dire di non mollare, di continuare con la stessa grinta di sempre, perchè tutti insieme, con l’amore che unisce la nostra famiglia, vinceremo questa battaglia; al mio piccolo Vit, un grosso abbraccio carico di amore
dalla sua zia
Rosanna
MIO PICCOLO, GRANDE UOMO
In questa gelida mattina,
corre sul filo della malinconia
il mio pensiero,
incontra te che stretto tra amorevoli braccia
vieni portato lì, dove ti inietteranno
la linfa della speranza,
piccolo come sei non puoi capire,
è il lupo cattivo della fiaba
che all’improvviso è apparso nel tuo cammino,
ma andrà presto via
per lasciare il posto alle tue favole preferite,
e sorridendo andremo incontro
a quel tuo mondo di fate.
Rosanna Affronte
@rosanna,
da questa poesia si evince un grande affetto e tanta tenerezza per quel bambino aggredito dal lupo cattivo della malattia che si difenderà con la sua innocenza per andare incontro alla serenità del suo mondo di fate. A quel piccolo diventato molto in fretta un grande uomo si associa a suo sostegno la mattina che dà il suo calore poi, ahimè tutto ad un tratto diventa quasi umana e, per la tristezza dell’evento che sta accadendo diventa gelida. Complimenti per la tua forza descrittiva malgrado il dolore che conservi dentro la tua anima. Coraggio quel piccolo uomo vuole sicuramente che la vita continui il suo cammino per tutti quelli che sono rimasti.
E ancora:
ATTESE
Tornerò in quel punto
ora flagellato dal vento
e dal gelo
Accenderò il camino
e saprò attendere..
Nessun luogo mi rispetta di più,
nessun luogo
Anche se a volte
il cuore desidera
spiagge che non esistono,
gemme che non si schiuderanno
La Vostra squisita ospitalità, carissimi Nicla e Robert, mi dona l’ardire di pubblicare una seconda poesia. Grazie e splendidi Auguri di uno strepitoso 2009.
Gianna Campanella
RISORGERA’ ANCORA IL GIORNO
Tutto corre troppo in fretta
come in un film disumano:
non c’è tempo per imparare
non c’ è tempo per sognare
Ma chi mai potrà misurare
il dolore?
Un colpo netto, una morte
veloce sul ciglio..
Ma se vuoi occhi profondi
per comprendere il mondo
e salvare te stesso
sbaglierai ancora, mille
volte sarai trafitto
Si accende la luna
e suggerisce una tregua
Il silenzio è profondo
come la solitudine
Dal nero pozzo dove
annega il passato
risorgerà ancora il giorno
con trame d’ansia e trepidi voli
Anima smarrita
Lo sguardo vuoto, assente/
retorica della mente/
travaglio del pensiero!
Immagini riflesse
opprimono
senza lasciar spazio!
E vaga l’anima smarrita/
alla ricerca del senso della vita!
Frammenti di dolcezza
Rivedo ancora con dolcezza
il suo sorriso, il suo sguardo, i suoi affanni.
Gocce di sudore
cadevano giù dal suo viso
segnato da inesorabili stagioni.
Seduta in riposo
ora…asciugava la fronte
con un bianco fazzoletto
ora…ansimante
porgeva con gioia le gote
che io, cogliendo quell‘attimo, baciavo.
Mentre timide farfalle
accarezzavano i suoi bianchi capelli
che il tempo aveva tramutato
in splendidi fili d’argento.
Appagata dell’abbraccio infantile
cullandomi sulle sue ginocchia
cantava una dolce melodia.
Che ancora risuona nella mente…
trasportata dal vento negli anni.
In ricordo di colei …che fu
la nonna più cara del mondo.
@nonnamery,
E’ dolcissima la tua poesia! Complimenti
Daniela
@nonnamery,
come va? E’ da un pò che non ti sento. Stasera ho letto questa tua bellissima poesia e ti faccio i miei complimenti. E’ dolcissima, frutto di un grande amore che si rivela ad ogni verso con immagini di infinita dolcezza. Scrivimi che vorrei risentire ancora, Nonnamery, le tue parole, Lenio.
Incanto crepuscolare
L’occhio soffermò lo sguardo
ancora per un istante…
colse l’attimo meraviglioso
che il crepuscolo forgiava!
La baia dorata
immersa nel profondo letto smeraldo
regala meraviglie… Stupore!
Più distante dalla riva
piccole onde spumeggianti
danzano con armonia una musica
che strafonda il cuore
quasi fosse un notturno di Chopen!
Avanzano…
per adagiarsi piacevolmente
sulla sponda che coglie applausi!
Tutt ’intorno è una mistura
di profumi mediterranei
mare e macchia si fondono!
In cima alla collina
la sfera alata del sole s’abbandona all’oblio…
adagiata sulle ampie braccia
del mare di cristallo!
Meraviglia nel silenzio…
silenzio nel reale del creato!
Ancora poco…
La sera profonda chiuderà il suo sipario
su quel giorno da sogno infuocato!
HO PAURA
Ho paura.
Perché?
Sto morendo.
Non è vero.
Sì che è vero.
Non lo dire.
Perché
Non devi.
Ma è la verità.
Non accadrà.
Sì invece.
Ma non ora.
Come puoi dirlo?
Lo so e basta.
Ho paura.
Smettila.
La testa mi scoppia.
Lo so.
Così non posso continuare.
Passerà.
Ma quando.
Presto.
Sei sicura.
Sì.
Ho paura.
Anche io ne avevo.
Ora non più?
No.
Perché?
È stato il medico.
Cosa ti ha detto?
Che vivrai.
Non è vero.
Non ti mentirei mai.
Sei un’amica.
Anche tu.
Ora
Non ho più paura.
Hai capito che ho ragione?
No
E allora perché?
Non ho paura
perché ci sei te.
MARIANNE
Il tuo silenzio mi parla.
Ogni giorno.
Vorrei che il rimorso ti disturgga.
Invece io moriro’.
Nella nostalgia di te.
Perche’ vivere lontano dall’amore ?
Ad Assisi mi hai spaccato il cuore.
Donna crudele, rinnegati.
Impazziro’ , un giorno.
Magari domani.
Sega il tuo orgoglio e rinvieni.
Io ti accogliero’.
Marianne, sei il mio sogno :
diventa la mia realta’.
Gaetano
Isole
Siamo isole, isole nella corrente,
ognuna un proprio destino,
ognuna una sua rotta.
A volte ci incontriamo,
o ci scontriamo
per poi perderci di nuovo
nel grande grembo dell’oceano.
Siamo isole,
isole nella corrente,
trascinate
da una forza misteriosa e cieca
che noi non conosciamo.
Siamo isole.
Riusciremo mai
a diventare arcipelago?
Lenio Vallati
Yasmin
Stava iniziando il nuovo anno scolastico. Appena entrato in classe, cercai subito di accaparrarmi il compagno migliore che mi sarebbe stato accanto durante tutta la seconda elementare. La bambina dai capelli castani, carina, che avevo visto all’ingresso, stava già seduta in prima fila accanto a Luca. Io non ero come lui. Luca era alto, biondo, snello, io invece ero troppo basso, tozzo, con due braccia robuste che avevano il solo pregio di farmi rispettare da tutti. Ma ero un bambino buono, non avrei fatto del male a una mosca. Cercai di individuare allora un compagno intelligente, che mi sarebbe stato utile nel caso avessi avuto qualche difficoltà nello studio. Purtroppo i miei compagni della prima elementare li avevo persi quasi tutti. Ero stato bocciato. Quello alto con gli occhiali dava l’aria di essere un piccolo genio matematico. Niente. Aveva già trovato un compagno. Allora mi sedetti nella fila di fondo e aspettai che fosse il caso, o la provvidenza a scegliere per me. Erano entrati quasi tutti e mi trovavo ancora solo. Sembrava che nessuno mi volesse, quando ad un tratto sentii come un sibilo alle mie spalle : “posso?”. “Certo” risposi senza voltarmi. Come avrei potuto impedire a chiunque di prendere posto vicino a me? Poi la vidi: capelli nerissimi, occhi azzurri, la pelle olivastra. Non mi riuscì di chiederle come si chiamava. Almeno non per quel mio primo giorno di scuola. Non che non mi piacesse, tutt’altro. A volte, però, quando siamo accanto a persone di razza diversa dalla nostra siamo presi da una titubanza eccessiva come se rimanessimo attanagliati da ciò che non si conosce. Fu lei che al terzo, quarto giorno di scuola, non ricordo bene, mi chiese come mi chiamavo. “Enrico” risposi, aggiungendo subito dopo, quasi a scusarmi “non è un bel nome”. “E’ bellissimo, invece” mi rispose. “E tu?” ebbi la forza di chiederle. “Yasmin”. Non avevo mai sentito un nome così bello. Più che un nome sembrava un sussurro, un battito d’ali, il profumo di un fiore. “Significa fiordaliso, in arabo” mi precisò lei. Da quel giorno cominciammo a parlare sempre più spesso. Le chiesi dove abitava, perché era venuta a vivere in Italia, se aveva nostalgia della sua terra lontana. Un giorno tirò fuori dallo zaino un cartoccio che emanava uno strano profumo. “Ne vuoi?” mi chiese. Io risposi subito di no, un po’ per timidezza e anche perché temevo che ciò che mi offriva non mi piacesse. Ci rimase male al mio rifiuto, come se non mi fidassi di lei. Così la mattina seguente fui io a chiederle “ me ne dai un po’?”. Non era male, anche se non riuscii a decifrare cosa contenesse. Mia madre mi dava sempre due fette di pane con burro e marmellata a colazione. Ne offrii a Yasmin. “Buono” mi disse convinta. Diversamente dall’anno precedente, a scuola andavo abbastanza bene. Seguivo con attenzione le lezioni e riuscivo a prendere ottimi voti, soprattutto in matematica. Talvolta sorprendevo Yasmin nell’atto di copiare. Io all’inizio fingevo di arrabbiarmi, ma poi la lasciavo fare. “Stà attenta” le dicevo “anche per questo ci vuole intelligenza. Fà qualche passaggio in più, cancella ad arte qualche numero, altrimenti la maestra ci annulla il compito a tutti e due”. Se mi chiedeva qualche spiegazione facevo del mio meglio per aiutarla. Man mano che i giorni passavano mi accorgevo però che tra me e gli altri miei compagni si era eretto una specie di muro. Mai che mi chiamassero per giocare a pallone con loro, addirittura non mi rivolgevano più la parola se non vi erano costretti. Quando, durante l’ora di ricreazione, io e Yasmin ci scambiavamo la merenda e parlavamo insieme delle cose più varie, li sentivo passare accanto come se facessero finta di non vedermi e parlottavano tra di loro a voce bassa. Io cercavo di carpire loro qualche parola, ma riuscivo a interpretare di quel sommesso brusio solo l’ultima, ‘araba’. I miei pomeriggi li trascorrevo sempre da solo a studiare. Non che me ne importasse molto. Successe all’improvviso che mi ammalai. Una mattina di dicembre mia madre mi annunciò che avevo quaranta di febbre. “Non puoi andare a scuola in queste condizioni”. “Ma come…” protestai io. Poi ricaddi stanco sulle lenzuola sudate. Mi toccai la fronte. Bruciavo. Yasmin resterà sola stamani, pensavo. Stetti quasi una settimana a casa malato. Al mio rientro mi sarei aspettato rallegramenti da parte dei miei compagni, pacche sulla schiena per la ritrovata guarigione! Niente. Nessuno mi rivolse la parola. Era come se non esistessi. Andai di corsa nell’ultima fila. Yasmin non c’era. Chiesi notizie di lei ai miei compagni, alla maestra, alla custode, ma nessuno mi seppe dire nulla. In segreteria venni a sapere che mancava da scuola da diversi giorni. Sapevo all’incirca dove abitava. Un po’ fuori mano, dove tra alti ciuffi di erba incolta si ergevano come giganti enormi blocchi di cemento armato. All’ultimo piano un cognome conosciuto, il suo. Venne ad aprirmi suo padre. Per niente intimidito gli chiesi se potevo parlare con la figlia. Finalmente,Yasmine! “Cosa ti è successo? Perché non vai più a scuola? Sei malata?”. “No” mi rispose lei “non voglio più entrare in quella classe. Mi prendono in giro, mi chiamano sporca araba…”. “Da quando?” “Da quando ti sei ammalato. Mi hanno pure messo le mani addosso…” mi disse tra le lacrime. “Devi tornare, Yasmin” le dissi deciso “lo devi fare”. “No” insisté lei. Ma io non mi detti per vinto. “Devi tornare a scuola, Yasmin” le ripetei ancora. “Non voglio che mi prendano in giro, che offendano la mia gente” “Devi tornare, Yasmin. Devi farlo”. “Per quale motivo?”. Non riuscivo neppure io a trovarne. Le avrei voluto rispondere che forse aveva ragione lei, che faceva bene a starsene protetta nella sua casa, ma non mi detti per vinto. “Fallo per me, Yasmin. Ho bisogno di te”. Il mattino seguente nessuno, come sospettavo, osò darle noia o prenderla in giro. Capii che finché stava con me era protetta. Nell’intervallo mi avvicinai alla cattedra. Con una voce che non mi riconoscevo dissi , rivolto alla classe: “ badate bene, chiunque di voi molesta Yasmin dovrà vedersela con me, intesi?”. Le mie braccia poderose dovevano essere molto convincenti. No, non ero bello come Luca, ma possedevo una dote che valeva cento volte la sua bellezza. Tutti i miei compagni annuirono, e annuì anche la maestra che fino ad allora aveva tollerato fin troppo quella situazione. Di lì a qualche giorno mi invitarono a far parte della nuova squadra di baseball. Una domenica venni invitato addirittura ad un compleanno. Prima di andarci pretesi ed ottenni che ci fosse anche Yasmin. Come ero cresciuto! Mi sentivo decisamente migliore dell’anno precedente, avevo fatto progressi in molte materie ma soprattutto avevo imparato la cosa più importante, il rispetto per il prossimo. Tutti ne abbiamo diritto, indipendentemente dal colore della pelle o dalla fede religiosa. Adesso Yasmin è un fiordaliso appena sbocciato. Ha sedici anni, un sacco di amici e sorride felice alla vita. Frequentiamo entrambi la seconda superiore ed è ancora la mia compagna di banco. A volte le chiedo se si rammenta di quando voleva abbandonare la scuola. Lei mi guarda con aria sorpresa, sgrana quei suoi profondi occhi azzurri e mi risponde ridendo: “Quando è successo? Non ricordo!”.
Lenio Vallati
@lenio vallati,
è un bellissimo racconto che purtroppo, ci riporta alla realtà quotidiana di tanta gente di colore che trova ostacoli nell’inserimento nelle scuole, ma non solo. Questo racconto è quindi, piacevole e fluido e con delicatezza ci invita ad essere accoglienti essendo pronti a subire il giudizio severo degli altri che ci circondano, che per questioni di razzismo non condividono il nostro pensiero, ed allora provano ad isolarci per punirci della nostra scelta. Complimenti Lenio e buon anno 2009.
@Alba Venditti,
Scusami il ritardo, grazie per il tuo bellissimo commento e infiniti auguri anche a te.
Scala di cristallo
Se la speranza è vita
spero che un giorno mi sorrida
e mentre attendo
tra bagliori di luci e di caligine
sogno di arrampicarmi
ad una scala di cristallo
e di arrivare all’ultimo gradino
per vedere da vicino
lo splendore della luce
e toccare con le dita
le sfumature dei suoi raggi
che nei giorni gelidi
abbracciano i timori
di un cuore inquieto.
Profumi senza tempo
Siede
il vecchio inverno
al camino.
Accanto alla mia nonna.
Solleticando il ceppo
che
scoppiettante e allegro
emana
antico odor di timo.
Di resinose violette
di favole e mistero .
Dentro la coltre
nascosta…
ascolto silenziosa
profumi e picchiettii.
L’alba riposa ancora
la nonna già fatica.
.
Frangibile ombra
tra languide lingue di fuoco
s’intaglia.
Rosse le gote
lievemente…
va la nonnina alla campagna.
Un vento silenzioso l’accompagna.
Accarezza il viso…
la chioma spoglia.
.
S’ode un gorgoglio ruscellante
di note alte, di risata piena.
Bisbiglia il suo rintocco
un canto di campana: è desta l’ alba.
Un nuovo giorno è nato!
@nonnamery,
Ciao nonnamery e un “Buon 2009” di cuore anche a te. Mi rivedo in quei caminoni grandi cove si poteva sedere dentro, mi viene voglia di certi profumi… Scrivi ancora… Beatrice B B
Il ticchettio del mio cuore,
mi parla lento dei miei fragili voli d’Anima.
Sospiro avvolta in una coperta di stelle,
nella via lattiginosa della mia vita.
Una musica dolce mi culla,
sulla scia dei mie tanti sogni sognati.
Leggiadra farfalla
Accovacciata te ne stai…
Dormente.
Lasci che lo sguardo
scruti il tuo riposo innocente.
Vagare…Pensare.
Carpire il tuo vagabondare
nel mondo dei sogni.
Il sorriso appena acceso
sul viso di giovane fanciulla.
Piccola creatura
che di dolci note ti nutri…
leggiadra farfalla
svolazzi sul verde prato dell’amore.
Profonda espressione…e noi.
Io e te…unite nel segreto!
@nonnamery,
Cara Nonnamery,
Bella poesia.
Hai scelto un titolo poetico e musicale, perchè la farfalla volando ha scelto i fiori come sua cornice.
Poi è musica perché ricorda Madama Butterfly, una graziosa farfalla giapponese musicata dal nostro Giacomo Puccini.
Complimenti e di nuovo affettuosi saluti.
sergio
Linfa dei giorni miei
Ho scritto t’amo sul mio cuore, nello stesso istante che ti ho conosciuto. L’emozione non aveva voce, lo stupore era muto: davanti agli occhi avevo l’immensità del cielo! Non avevi visto ancora la luce e io potevo toccare con le mani, il meraviglioso lavoro scolpito dall’amore! L’immensa gioia aveva cancellato ogni traccia di ragione, e il cuore? Era una voragine di dolci carezze da donare. Quel piccolo fagotto che stringevo tra le braccia eri tu: bello più del sole! T’amo con tutta me stessa. Quando ti guardo, mi sembra di sognare, e sogno di volare. All’infinito vorrei vivere le sensazioni del mio cuore e assaporare con i baci, le tue paffute gote, le tue piccole mani. All’infinito vorrei amarti, e tenerci abbracciarti come nuvole al sole. Lunghe fughe e rincorse, lungo il prato dorato. Io e te come nelle favole: principi a cavallo!Per te piccolo mio, vuoterei il mare e tutte le sue perle ti regalerei. E il mare non me ne vorrebbe, perché onde e sirene, non hanno l’incanto di un tuo solo sorriso.
Tu sei ogni mio respiro!
Con infinito amore al piccolo “Natale”
nonnamery
@nonnamery,
Bellissimo racconto.
È in prosa, ma la sua armonia non è solo poesia ma anche musica romantica e mentre che leggi, le parole si trasformano in Concerto. Un concerto meraviglioso che potrebbe essere di un grande romantico autore: in particolare le sonate e la fantasia per pianoforte di Mozart, che ascoltandolo ti sembra di volare, come ti sembra di volare leggendo questo tuo scritto.
Complimenti e Auguri.
Sergio
@sergio doretti,
Caro Sergio grazie per il tuo bellissimo commento.Questa poesia è dedicata al mio primo nipotino, come non avrei potuto smuovere l’orchestra del cuore e ballare sulle note per pianoforte di Mozart?
Grazie di cuore e auguri per un anno cospicuo di salute e serenità.
Con affetto.
nonnamery
@nonnamery,
Complimenti, Nonnamery, per questa meravigliosa sinfonia d’amore dedicata al tuo nipotino. L’amore non ha limiti, l’immensità del cielo si spalanca di fronte alle sue emozioni. Mi sembra di rivivere i momenti in cui ho adottato mia figlia, quando l’ho abbracciata con tutto l’amore e la gioia che possedevo e mi sono sentito improvvisamente ricco di tutti i tesori dell’universo. Questi sono i veri valori della vita, e tu li descrivi con parole di grande poesia. Ancora auguri, un abbraccio, Lenio.
Attesa
Una spiaggia deserta
e orme dilavate
dal mare
rabbrividisco
all’ultima stella
e attendo
il risveglio del mondo
Si leva goffo il sole
rosseggia le nuvole
come lingue di fuoco celesti
violenta la notte
impaziente
piove sull’acqua
semina i raggi
come diamanti
discreta la luna
impallidisce aggraziata
sola compagna delle tenebre
Striduli i richiami
dei gabbiani
sulla scogliera
rompono il silenzio
ancora temo
l’agguato delle tenebre
inerme
sotto il calore del giorno
bagnata di mare
sola
a contare le orme
ad attendere
il tramonto.
@Marisa Provenzano,
Carissima Marisa, complimenti per questa tua bellissima poesia che leggo solo adesso. Complimenti per queste immagini vive che sai offrire, per questa luce che emana dai tuoi versi. E ancora tanti auguri, Lenio.
Emozionatemi
Emozionatemi
vi cerco parole altrui
vi leggo righe sconosciute
Emozionatemi
sguardi scolpiti su marmo
sorrisi rubati dai pensieri
Emozionatemi
bei giovani di ieri
che or son più sinceri
Emozionatemi
ho bisogno per non dormire
necessito per poi venire
Emozionatemi
ancor un’altra volta
forse l’ultima
Emozionatemi
allor m’annullerò
in polvere splendente.
Carlo Modonutti
DELIRIO
Immagini deliranti oltrepassano il pensiero.
Delizie per gli occhi e l’anima
che leggere s’innalzano in volo
per confondersi tra arcobaleno d’istinti
e fotogrammi carezzevoli di musica sinuosa.
E rimuovono d’impulso l’anima mia assopita
come pesce di corallo nella rete di cristallo.
Emozioni inebrianti susseguono i silenzi
dicono che sono qui ancora viva
per ascoltare la vita
per decantare lo stupore
per incatenare l’amore.
Le rondini nel cielo incorniciano i sogni
su cuscini ammantati di stelle dorate
mentre tendo le mani per riprendermi i sensi rapiti!
Mentre dormi
Mentre dormi silenziosa scivolo
nell’alcova dei sogni
che ha profumo di te.
Rilucenti bagliori
dalle persiane socchiuse
nella stanza senza più pareti.
Solo alberi infiniti
nelle notti magiche
strateghe di manto di stelle
e melodie arpeggianti
di tremule fiammelle.
Un mormorio di tan tan il palpito
mentre la mente divampa
in labbra socchiuse a conchiglia
due corpi sospesi in una danza
persi come se non ci fosse
più nessuno al mondo.
Sensuale ritmo di battito alato
all’ombra della luna d’argento.
Se scende la neve
***
Quando
il lontano si avvicina in un pensiero
e le distanze hanno
il sorriso
del vento sulla pelle
e se scende la neve
adesso
che l’aria s’inventa sorda
e disegna la parola del tuo dire
in questo volo di silenzi
io ti amo
e nella musica del cielo
in quella danza bianca di carezze
io mi dono a te, come
il desiderio ultimo
dell’incanto.
~ © Nunzio Buono ~
Un silenzio sul cappotto
***
Ondeggiava
sbronza
quella lacrima di cielo
e sulla sera
ripose di luce il suo pensiero
nel caldo inverno
un ritaglio di nero al bianco foglio
si compose
lasciando
il vuoto al volto
della neve.
~ © Nunzio Buono ~
@Nunzio Buono,
Complimenti per le tue poesie che sembrano volteggiare come fiocchi di neve, evocando bellissime immagini. A rileggerti con piacere, Lenio.
NEI MARI DEL SOGNO
Un giorno di festa:
leggendo:
percepisco uno sguardo,
ed immagino i tuoi occhi
che vedo lontano,
fra i colori del cielo,
e un’amicizia
viva e presente,
riposta nel cuore,
vola lontano.
nell’azzurro del cielo.
fino alla luna,
che mi apre la porta,
e mostra il tuo volto,
e resto incantato
mi era presente
fra le pieghe di un foglio.
Rimango lassù,
fra i colori dell’amore,
fra i colori della vita.
sergio
Ciao a tutti e ancora auguri per il 2009. Non sentite anche voi un profumo di amore, di speranza, di solidarietà nuovi? Un cinguettio del cuore che prima non c’era? Una voglia irrefrenabile di cantare e di danzare sulle note del cuore? Sì? E allora forza con le emozioni, non risparmiamoci cari amici del ‘Manuale di Mari’, io intanto vi invio questo mio racconto che forse avrete già letto perché presente in numerose antologie. Secondo me é un seme di speranza gettato nel terreno incolto del mondo di oggi, con le sue guerre e le sue prevaricazioni, ma germoglierà, ne sono sicuro, e darà frutti di pace e di amore.
George
Ero ancora una bambina quando sono arrivati gli americani. Si sono annunciati con grandi lampi nel cielo e sinistre esplosioni in tutta la nostra città. Io avevo paura e correvo a nascondermi in cantina. Mio padre inveiva contro di loro, li chiamava cani infedeli, gridava che Allah li avrebbe puniti. Io non odiavo nessuno, ancora non ne ero capace. Avevo sentito dire alla televisione che erano arrivati per portarci la democrazia e la giustizia. A me questo sembrava strano, perché la guerra non mi sembra lo strumento più adatto allo scopo. Comunque tenevo queste considerazioni dentro di me, anche perché nessuno le avrebbe ascoltate. Iniziò un periodo durissimo per la nostra famiglia. Avevo tre fratelli, prima che la guerra iniziasse. Adesso me ne sono rimasti due, uno è morto durante un attentato. Mio padre continua ancora ad inveire contro gli americani. Mia madre è morta quand’ero piccola. E la guerra non è ancora finita. Ogni giorno case che crollano, attentati che insanguinano le strade di Baghdad. Io esco di rado di casa. Sono dominata dalla paura. Attraverso la strada solo per recarmi alla vicina moschea, memore di un attentato che pochi mesi fa l’ha resa un rudere. Ormai non ricordo neppure da quando è iniziata questa guerra. Ricordo solo che un giorno come tanti l’ho visto. Stava ritto, stagliato sulla porta d’ingresso di una casa accanto alla mia. Era alto, capelli nerissimi, la carnagione chiara. Aveva gli occhi azzurri e mi sorrideva. Non ho avuto paura nel vederlo. Aveva uno sguardo così buono che neppure per un attimo ho pensato mi potesse fare del male. Aveva indosso un pesante elmetto e la tuta mimetica. Un compagno gli ha chiesto qualcosa. Lui si è girato, gli ha risposto “okei” ma prima di sparire sulla strada mi ha lanciato un ultimo intenso sguardo. Mi sono sentita trafiggere da quei suoi occhi, ho raggiunto la mia casa barcollando. Non mi era mai successo prima di provare qualcosa di simile. Era un americano, era un nemico, avrei dovuto odiarlo invece di desiderare con tutto il mio cuore di rivederlo. Mio padre aveva brindato con i miei fratelli ed alcuni amici l’undici settembre. Io quella sera avevo pianto al pensiero di tante vittime innocenti. Forse ero indegna del mio paese e della mia famiglia? Forse non ero una buona irachena? Il soldato americano tornò più volte durante la settimana. Era solo. Sembrava mi volesse chiedere qualcosa, ma poi all’improvviso se ne andava dopo avermi fissata a lungo. Mi sentivo fremere di desiderio a quei suoi sguardi. Forse stava cercando qualche terrorista nascosto e voleva indicazioni da me. Forse era me che voleva. Io la notte non riuscivo più a dormire. Ogni piccola esplosione, ogni piccolo rumore mi faceva sussultare. Mi svegliavo di soprassalto, impaurita, e nella penombra intravedevo i suoi occhi azzurri che mi infondevano coraggio. Un giorno mi si fece più vicino e cominciò a parlarmi. Io dapprima non capivo quei termini strani, riuscii solo ad afferrare che si chiamava George ed era del Texas, ma poi, pian piano, i nostri occhi si incrociarono ed iniziarono a parlare un linguaggio universale che è il linguaggio dell’amore. Sì, adesso lo capivo, mi stava dicendo che avrebbe voluto che terminasse presto quell’assurda guerra per portarmi via con se. Quella guerra che non avrebbe mai voluto che cominciasse. Che da quando mi aveva visto non poteva fare a meno di me. Cercò anche di abbracciarmi ma io scappai via. Per tre giorni e tre notti maledissi quel mio gesto. Perché ero fuggita da lui? Avevo paura che la sua fosse tutta una finzione? No, ne ero sicura, mi amava. Adesso non tornerà più, mi dicevo. Non avevo il coraggio di pensare a quello che sarebbe successo se mio padre o i miei fratelli avessero saputo qualcosa dei nostri incontri, se ci avessero sorpresi insieme. Mi avrebbero sicuramente uccisa. Il soldato tornò. Gli feci solo capire che era pericoloso vederci, e lui mi accompagnò in un posto sicuro. Mi fece attraversare la strada e mi condusse oltre un portone, giù per una rampa di ripide scale. Una stanzetta con due sedie, un comodino e un lettino ci accolse. Pochi oggetti sparsi intorno. Mi fece capire che lì eravamo al sicuro. Che neppure le bombe ci avrebbero disturbato. Stavo con lui una mezz’ora, poi ritornavo a casa perché mio padre e i miei fratelli di lì a poco sarebbero rincasati. Dovevo preparar loro il pranzo e mettere tutto in ordine. Prima di rientrare mi ravversavo i capelli scompigliati e mi riaggiustavo la veste. Ho continuato a vederlo per diversi mesi. Poi è sparito. Quanto vorrei che mi avesse abbandonata per far ritorno al suo paese! Purtroppo ho motivo di pensare che ben altro gli sia successo. Ho sentito parlare, un mese fa, di un attentato. Di tre soldati morti. Tra questi mi hanno riferito di un ragazzo alto con gli occhi azzurri. Il mio cuore ha capito. La guerra me l’aveva portato via come migliaia di altre persone. Non aveva avuto pietà di me. Io dapprima piansi, poi mi feci coraggio pensando alle sue carezze e alle parole che mi diceva e che ultimamente riuscivo a capire : “c’è una forza grande che piega i destini di ognuno di noi come il vento l’erba dei campi, e niente e nessuno può contrastarla, nemmeno la guerra, nemmeno la morte”. Adesso ho terrore di mio padre. Tra poco non potrò più nascondergli il frutto del nostro amore. Gli racconterò che un soldato iracheno mi ha violentata. No, non lo conosco, non so chi sia, non ne ho idea. Oppure dirò che è stato il figlio del fornaio. Lui non mi smentirebbe, è una vita che è innamorato di me. Accetterebbe di buon grado un figlio non suo pur di starmi accanto. Ti prego, bambino mio, frutto di un puro, grandissimo amore, e al contempo frutto di una guerra assurda, insensata come lo sono tutte le guerre, ti prego, non tradirmi. Somiglia a tua madre, ti prego, prendi da me la carnagione scura della mia pelle e i miei profondi occhi neri. Se tu nascessi con la pelle chiara e gli occhi azzurri mio padre mi ucciderebbe. In tal caso dovrei scappare, ma dove? Dovrei lasciare il mio paese. No, ti prego, non mi tradire. Cammino a fatica, attraverso la strada col fiatone. Ecco, rivedo il portone oltre il quale riconoscerei tra mille la rampa di scale. Adesso è chiuso. Proseguo per l’acciottolato disconnesso verso la moschea. Allah, ti prego, aiutami! Odo degli spari. Alcuni uomini corrono verso di me. Mi appare all’improvviso la sagoma di un cingolato. Poi un’esplosione. Un’altra. Sto per cadere. Calcinacci piovono sulla mia testa. Ti prego, bambino mio, fuggi da questo mio corpo intrappolato dalle macerie. Salvati almeno tu. Sto per essere calpestata dalla gente che fugge senza sapere dove. Cado. Mi rialzo. Caparbiamente, come se una forza sovrumana mi possedesse, riesco a rientrare in casa, sono ansante, le vesti lacere. Ma sono ancora viva. Questa guerra che ti ha ucciso, George, ha voluto risparmiare me. Perché? Forse vuole che un giorno io possa raccontare a tutti di noi due, del nostro grande amore sopravvissuto all’odio insensato degli uomini? Vuole che io sia una bandiera di speranza in questo paese vittima di morte e distruzione? Non può esistere un futuro frutto della paura e della menzogna. Solo nella sincerità ritroveremo noi stessi. Nostro figlio avrà la carnagione chiara come la tua e occhi azzurri come i tuoi, ne sono sicura. E si chiamerà George, come te.
@lenio vallati,
Ciao Lenio,
Avevo già letto questo racconto, ma ho voluto rileggerlo perchè fra le parole si intravedono grandi sentimenti , come l’amore che non ha confini di bandiere nè di popoli diversi, la forza di questa donna che riesce a salvarsi dalle brutture della guerra, e con grande coraggio vuole affrontare il mondo, anche se George non sarà mai più vicino a lei, le bombe hanno fatto le sue vittime, ma lei sarà orgogliosa di questo bimbo, frutto del suo grande amore per questo soldato, che non dimenticherà mai perchè quel figlio avrà gli stessi occhi di suo padre..e in lui, rivedrà per sempre George.
Cari saluti e buon proseguimento per l’anno 2009 che è appena nato..
Maria Luisa Seghi
@Maria Luisa Seghi,
Grazie Maria Luisa, e auguri anche a te. George rappresenta, come dici bene tu, la speranza nonostante tutto, nonostante le atrocità della guerra e le differenze di pelle. La speranza che vincerà e avrà gli occhi innocenti di un bambino, il figlio di George. A risentirci, Lenio.
@lenio vallati,
Spero che il 2009 porti in giro per il mondo tutta la tua voglia di amore e pace, caro Lenio, così come la mia e quelle di tante, ma tante (ne sono comunque e sempre convinta) persone “di buona volontà”! Affettuoso un saluto da BBB
Il pastorello spezzato
Non so quanti anni abbia davvero il mio presepe, so che era di mia mamma, ma lei diceva che lo aveva da bambina.
Quando poi mia mamma morì l’albero andò a mia sorella e il presepe a me.
Non ricordo se qualche statuina finì da mia sorella.
La capanna è di cartone e si regge male, dovrò metterci la colla. San Giuseppe l’ho ricoperato tempo fa inseme ad uno dei re magi.
Gesù è sempre lo stesso, non è cambiato da quando lo conosco.
Ci sono pecorelle di gesso, anche troppe forse, non si reggono più bene in piedi.
In fondo c’è uno che porta un cesto sulle spalle, sembrano fragole.
Il bue e l’asinello sono gli stessi di allora, entrano a stento nella capanna.
Carta per le montagne e muschio finto.
Una palma con un laghetto di plastica e sopra ho sempre messo un cigno.
Non sono mai riuscito a mettere acqua vera nel mio presepe.
Tra le castette c’è un pastorello con una pecorella sulle spalle, spezzato in due.
Mi fa tristezza, mi ricordo quando questo presepe lo facevamo nella vecchia casa in affitto e mio padre, già mio padre.
Era malato di cuore papà, lo ricordo sempre così.
Il presepe lo faceva mamma e la mia sorellina che toccava i pezzi.
Morì nel 1975 papà che avevo 20 anni e mia sorella 14.
Debbo ripararlo questo pastorello, come ho riparato spesso la mia vita, debbo avere da qualche parte la colla che mi regge.
Sarà un anno diverso quello che verrà.
Sposto i re magi, sono quattro, non chiedetemi perchè, questioni di errori di vita nel contare i re forse.
Il bambinello è sempre lo stesso, le braccia aperte e sua madre che se lo guarda come tutte le mamme guardano i loro figli.
Come mia madre guardava noi, tanto tempo fa.
Dimenticavo, riparo il pastorello è importante, non chiedetemi perchè.
@Giuseppe Diodati,
il pastorello spezzato ricorda troppo la tua famiglia spezzata dagli eventi che imperterriti l’hanno avvolta ed allora ripararlo a tutti i costi vuol dire conservare con affetto ciò che la tua famiglia originaria amava. Inoltre, perchè non dare nuova vita a quel presepe che ha vissuto insieme alla tua famiglia tramandando i suoi personaggi e i suoi insegnamenti ? Anch’io al tuo posto avrei riparato quel pastorello che si porta alle spalle la storia della tua famiglia e avrei incaricato i tre re magi di diffondere nel mondo tre virtù fondamentali: fede, speranza e carità.
Auguri di un felice anno a tutto lo staff del sito. Complimenti per il vs. lavoro.
Buon Anno
Ai desideri,
ai sogni che saranno,
ai sorsi di gioia,
alle amarezze
fugate in nuove attese,
all’amore che non basta mai.
Buon anno
ai giorni di pioggia,
alle apatie sfumate
in aromi di caffè
e chiacchiere distratte,
ai raggi di sole
accarezzati dalla brina
del primo mattino,
ai fiori che sbocciano
tra rami di speranze,
alle foglie ingiallite
lungo il ciglio delle strade
e i tratti di malinconia
Buon Anno
ai giorni che non tornano,
alle notti che precedono l’alba,
alla luna che parla d’amore,
alle stelle innamorate,
al silenzio che si tinge
di rosa in un’aurora
che svegli l’umanità
a un giorno di pace.
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